L'uomo accusato di aver ucciso la moglie«Sesso con mia suocera: è iniziato così»
Aspetta il castigo dei giudici (processo il 4 ottobre a Cagliari) ma la colpa per aver ucciso la moglie Betti Bruno con quattro picconate Pietro Cambedda ha cominciato a espiarla dal giorno della confessione del delitto, avvenuto il 20 aprile 2009 a Settimo. Cambedda convive con gli incubi in una cella di Buoncammino. L'altro ieri ha raccontato l'antefatto dell'omicidio: il sesso clandestino con la suocera. Pietro Cambedda scrive dal carcere della sua tormentata relazione con la suocera-amante Rosy.«Vi racconto il mio viaggio all'inferno»
di PIETRO PICCIAU
Confessa il sesso clandestino, tace sull'epilogo della passione che ha sconvolto la sua vita: l'omicidio della moglie. «Ricordo con dolore le parole di mia figlia Francesca. Mi prendeva in disparte e diceva: papà, torniamo a essere un famiglia normale, quella sarà la nostra rovina». Quella è Rosy - Rosalba, matrigna di Elisabetta, assassinata con quattro colpi di piccone e sepolta dal marito Pietro Cambedda in un orto alla periferia di Settimo San Pietro. L'uomo, in carcere per quel delitto, attende il castigo dei giudici e descrive il ruolo dell'ex amante Rosy. Lapidario: «Il suo odio verso mia moglie ha distrutto la famiglia».
Carcere di Buoncammino, 8 giugno. Nella sua cella popolata da incubi, Pietro Cambedda annaspa nel tormento in attesa del 4 ottobre. Quel giorno inizierà il processo: «Non mi importa della pena. Ce l'ho già nell'anima. La sconto con il rimorso atroce che nessun farmaco potrà mai spegnere».
LA LETTERA Il viaggio del detenuto Cambedda nel girone infernale dei ricordi macchiati di sangue comincia davanti a uno scrittoio con una Bic nera e tre fogli a quadretti: «Mi trovo in questo posto di sofferenza da più di un anno… Il primo periodo è stato allucinante». È la confessione di un uomo sconfitto, perso in un mondo - il carcere - «a me sconosciuto». Prima del delitto, delle manette e della galera, Cambedda - 63 anni, originario di Tonara - racconta di aver dedicato la vita «al lavoro, ai sacrifici per avere un'esistenza dignitosa e una casa dove poter educare e far studiare i figli». C'era riuscito: «I miei sogni, dopo un'infanzia difficile, avevano preso corpo».
Abitava a Settimo da oltre trent'anni. Dopo il divorzio con la prima moglie, l'incontro con Elisabetta. È amore. «Betti era un dono di Dio. Pur essendo malata, mi ha dato la forza e la serenità per andare avanti». Nasce Giuseppe, primo di tre figli. «Ho lavorato duramente per pagare i danni causati dal primo matrimonio. Però l'affetto che mi davano mia moglie e i miei figli avevano fatto di me una persona felice».
LA SVENTURA La sventura è all'orizzonte. «Iniziata quando mio suocero è venuto a vivere vicino a casa». Non gli piaceva, quell'uomo: «Mia moglie cercava di trascinarmi a casa del padre, ma io avevo avversione e antipatia per la moglie, che non sopportavo. Aveva abbandonato nove figli e la prima moglie, la madre di Betti. Mia suocera è morta di fatica a 50 anni». Rosalba faceva spesso visita a Pietro e Betti: «Ma io la cacciavo. Veniva soltanto per umiliare mia moglie. Quando non c'era Betti, mi faceva vedere le sue grazie, mi parlava di tutti gli uomini che si tirava dietro. Cose che io e tutto il paese sapevamo già. Si diceva che facesse sesso anche con un medico».
LA PASSIONE Una sera come tante, il desiderio. «Ero un po' su di giri, le chiesi di darmi una notte di sesso. Lei accettò con entusiasmo». Piacere e perdizione nell'alcova di Settimo: «I nostri incontri diventarono infiniti. Lei riusciva a neutralizzare il marito, ci si incontrava a casa sua la mattina, di pomeriggio, quasi ogni notte. Me ne innamorai in modo diabolico. Facevamo sesso senza stancarci mai. Diventammo gelosi l'uno dell'altro. Lei non voleva che dormissi con mia moglie. Cominciai a non stare più a casa, mi astenni dal fare all'amore con Betti».
Roso dalla gelosia, Cambedda un giorno pretende spiegazioni dall'amante: «Le chiesi se avesse fatto sesso con il medico in ambulatorio. Lei lo ammise, di questo era orgogliosa. Soffriva del fatto che io vivessi ancora con mia moglie. Rosy rivelava a tutti dei nostri incontri, voleva che Betti sapesse». Successe. «Un giorno mia moglie lo scoprì e da quel momento la mia casa e la mia vita diventarono un inferno».
LA SCOPERTA Un giorno il suocero scoprì i due amanti a letto: «Non fece grandi scenate. Anzi, Rosy addirittura lo buttò fuori dalla stanza da letto». Betti intanto era diventata una furia: «Diceva che mi avrebbe ucciso. Spesso portavo sul viso i segni delle sue unghie. Un giorno le dissi che avrebbe vissuto meglio senza di me. Mi avvelenai con psicofarmaci ma lei, purtroppo, mi salvò la vita. Mi svegliai in ospedale. Scappai senza che i medici potessero fermarmi».
Cambedda decide di cambiare vita. «Telefonai a mio suocero. Dissi che con la moglie era tutto finito». Ma basta uno sguardo per rianimare la fiamma della passione. «Lei tornò alla carica e la notte ripresi a dormire con lei. Ricominciò l'inferno. Perdetti l'uso della ragione. Rosy diventò una malattia. La mia vita, ormai, era fatta di litigi e stanchezza. Vita da barbone».
Nella lettera scritta in carcere Cambedda allude a tentativi di suicidio «impediti dalle persone di guardia». L'attesa del processo è un'altalena di emozioni: «Sono solo. Sconto già una pena che viene dall'anima».