"Sono arrivato nel mio ovile pochi minuti dopo il tragico incidente", racconta Gianni Mossa, 40 anni, di Irgoli. "Non sapevo che nel mio terreno si dovesse svolgere una battuta di caccia. Ho visto il bambino a terra. Era già in coma quando mi sono avvicinato per verificare l'accaduto. Tenere tra le mie braccia una creatura indifesa e ferita e non poter fare nulla, per me che son papà, è stata un'esperienza terribile". Il piccolo faceva parte, insieme al padre Nicola e al fratello, di una compagnia di caccia di Irgoli. Oggi si preparava all'emozione di un rito che nelle logiche degli adulti consacra alla forza e al coraggio virile. La viveva con l'innocenza del bambino. Indossava la mimetica per dare vigore al fisico minuto. Era inserito in una delle poste tra i cacciatori veri, quelli con cartucciera e fucile. Di fronte a lui ve n'era una seconda. Pronta a sparare. Qualcosa si agita tra le frasche. Ecco il cinghiale. Il colpo fallisce l'obiettivo e si compie la tragedia. "Ho visto - racconta ancora Mossa - ciò di cui un padre non vorrebbe mai essere testimone".
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