Il commento di Massimo Crivelli: "Un sasso lanciato nello stagno sardo"
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Molti anni fa ho letto una fiaba di Gianni Rodari. Non ne rammento il titolo ma raccontava degli effetti che può provocare un sasso lanciato nello stagno. A volte suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie ma poi lentamente scompaiono. Altre volte invece quella pietra, coinvolge nel loro moto, a distanze diverse e con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Tutti gli oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono così richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro.
Quella favola moderna mi è tornata in mente nei giorni scorsi a proposito della politica sarda quando Paolo Maninchedda, dopo aver dato uno scossone alla giunta, ha lanciato il suo sasso nella palude, proponendo in vista delle prossime consultazioni regionali primarie "nazionali" aperte a tutti ma vincolandole all'adesione ideale di una frase che recita così: «La Sardegna è una nazione, cioè una comunità di valori e di interessi condivisi, che vuole i poteri necessari a interpretarli e difenderli».
La novità, naturalmente, non sta nello strumento delle primarie, più o meno già viste in tutte le diverse declinazioni, ma nel tentativo di concretizzare con patti eticamente vincolanti un governo di unità nazionale.
Un governo autenticamente sardo appunto, che sia capace di annullare gli effetti deleteri delle soglie di sbarramento che - oggi come cinque anni fa - regolano la legge elettorale.
L’iniziativa, supportata da una riunione ad Abbasanta e lucidamente argomentata nel sito di "Sardegna e Libertà", ha suscitato ovviamente anche le critiche dei detrattori del Professore. Qualcuno ha rammentato il suo passato da politico di lungo corso con esperienze assai differenti in maggioranze di opposti colori; altri faticano a vedere nella sua figura quella carica anti-sistema necessaria a scardinare il desolante ordine delle cose Isolano; altri più maliziosamente - infine - ritengono che Maninchedda, politico certamente avveduto, alla fine non correrà da solo rischiando di replicare il "magnifico insuccesso" di Michela Murgia che, pur riscuotendo un rimarchevole 10 per cento, non piazzò nemmeno un consigliere.
Queste critiche, prese singolarmente, possono tutte avere un fondamento. Tuttavia personalmente ritengo che sarebbe un errore giudicare l’iniziativa di Maninchedda sulla scorta dei meri calcoli elettorali. Io ne colgo anche l’aspetto culturale (e Maninchedda è uomo di solida cultura, almeno questo pregio bisogna riconoscerlo...). Un celebre aforisma del cancelliere Otto Von Bismarck asseriva che "la politica è l’arte del possibile". Per quanto sia arduo stabilire un parallelo tra la Prussia ottocentesca e la Sardegna attuale, credo però che non si possa prescindere da un certo, sano relativismo se non si vuole ridurre la politica a politichetta e coltivarne invece lo spirito più nobile - il senso della missione - sottraendola così al triste destino di un orizzonte appiattito. E battere sentieri inesplorati aiuterà tutti ad allargare il confronto.
Penso quindi che si possa discutere anche di questo nella lunga volata - già partita - verso le prossime elezioni regionali. La sortita di Maninchedda può rappresentare un benefico stimolo per rivitalizzare il centrosinistra (a prescindere da ciò che deciderà Zedda) e magari - perché no? - darà la possibilità di farsi avanti ad altre personalità della società sarda finora restie ad impegnarsi in prima persona.
In attesa che il centrodestra trovi una figura (Binaghi?) capace di capitalizzare l’effetto Salvini, aspettando di capire il modo in cui il Movimento 5 Stelle si organizzerà per sfruttare un potenziale ragguardevole, e - infine - di sapere cosa deciderà di fare "da grande" la galassia sardista, indipendentista, sovranista (o nazionalitaria?), non vedo motivi per demonizzare l’iniziativa del leader Pds.
Non posso sapere, peraltro, che effetto concreto sortirà il sasso lanciato da Maninchedda. Credo però che tutto possiamo permetterci, noi sardi, tranne che continuare a galleggiare su una zattera abbandonata, senza timoniere e nemmeno una rotta da seguire.
Massimo Crivelli
Già vicedirettore de L’Unione Sarda