Iglesias, dai bordelli ai marciapiediProstituzione tra passato e presente
L'ultimo bordello è stato chiuso alla fine degli anni Cinquanta dalla legge Merlin. Si trattava della “Casina rossa” ed era in via Sant'Antonio. Un'altra casa si trovava in via Monastero. Gli anziani ancora oggi la chiamano “s'arruga de su casinu becciu”.Oggi è il viale alberato, cinquant'anni fa l'oasi del piacere era in fondo a via Sant'Antonio. “La casina rossa”, veniva chiamata l'ultima casa chiusa di Iglesias. E così la indica ancora qualche adolescente del tempo. Una sobria palazzina a due piani a pochi passi dalla chiesetta di Sant'Antonio Abate. Un po' la casa dei sogni per i ragazzi del tempo, che aspettavano con trepidazione di diventare maggiorenni per varcare la soglia. Così come racconta un distinto e assai conosciuto settantenne iglesiente, ormai nonno, che non esita a definirsi scherzosamente «fregato dalla legge Merlin», che entrò in vigore nel settembre del 1958 decretando formalmente la morte delle case chiuse: «Io diventai maggiorenne un mese più tardi - racconta dietro garanzia dell'anonimato - quindi non ebbi il tempo di poter andare nella casa. Ricordo, però, che tutti gli adolescenti di allora aspettavano di vivere un momento che, anche a livello familiare, era definito una sorta di iniziazione».
I BORDELLI Quello di via Sant'Antonio è stato l'ultimo bordello di Iglesias, ma non l'unico. Il primo, secondo quanto raccontano gli anziani, era nei pressi del battaglione dei carabinieri, poi fu trasferito in via Monastero, chiamata ancora oggi “s'arruga de su casinu becciu”. La definisce così anche Carletto Atzori, 75 anni, ex minatore, custode di numerosi aneddoti. «Ricordo di un amico che si era appena comprato una bicicletta Aurora, allora la davano a rate, e decise di andare a festeggiare in via Sant'Antonio, lasciando la bici parcheggiata quasi di fronte all'ingresso. Quando uscì non la trovò più e da allora non mancavano le occasioni per prenderlo affettuosamente in giro».
I RICORDI Dai ricordi degli anziani emerge che, spesso, per concedersi un momento di piacere, gli uomini facevano la fila. Molti militari, qualche minatore, operai ma anche uomini di spicco. Le ragazze avevano una età media di 25 anni e non erano molte. Sei, massimo dieci nel periodo in cui fu più massiccia la presenza dei militari. Arrivavano prevalentemente da altre regioni italiane e, tempo quindici giorni, andavano via.
LO SFRUTTAMENTO Atzori non si scandalizza per la recente novità della presenza delle lucciole sul viale alberato e, segnalazione delle ultime ore, anche nei pressi del cimitero: «Bisognerebbe prendersela con chi le sfrutta e forse era meglio quando c'erano le case chiuse anche perché facevano periodici controlli dal medico che aveva lo studio in piazza Lamarmora». Dodici anni fa, lucidissimo seppure novantunenne, il medico Giacomo Perpignano, raccontando la sua esperienza professionale riferì di essere diventato una sorta di confessore delle prostitute. Le aveva descritte con estrema delicatezza e rispetto, parlando di persone infelici, spesso spinte a fare quella vita per problemi economici, per riuscire a sfamare i propri bambini. A cinquant'anni di distanza le motivazioni, tranne qualche eccezione, non sono cambiate. E che si tratti delle ragazze che da diversi giorni stazionano sotto il ponte del viale Villa di Chiesa, come nei pressi del cimitero o di quelle che offrono le proprie prestazioni attraverso gli annunci sui giornali, la realtà deve essere sempre la stessa. Tristissima.
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