“I piatti a cui sono più affezionato? Una zuppa fatta con tutti i legumi dei presidi slow food  e poi il tiramisù per Parmitano che è stata una bella sfida ma siamo riusciti a farlo. Lui si è divertito e  se lo è goduto nello spazio”. A raccontare le sue ricette stellari (e stellate) è Stefano Polato, “lo chef degli astronauti”,  che della cucina spaziale e dell’innovazione alimentare ha fatto il suo campo di eccellenza.

Ad Olbia è sbarcato in occasione del Festival dell’Aerospazio, inaugurato ieri, come ospite d’eccezione di uno dei panel col tema tra i più accattivanti dell’evento: lo space food. Una tavola rotonda e una mostra con autentiche confezioni di cibo spaziale, prodotti disidratati e termostabilizzati, progetti di ricerca e soluzioni sperimentali studiate per un ambiente microgravitazionale, quest’anno la manifestazione indaga l’alimentazione in orbita e quella per la sopravvivenza a lungo termine che vedrà la coltivazione nello spazio, ortaggi in serra a bordo di navicelle o stazioni spaziali. Cosa significa produrre il cibo dello spazio?

“Per realizzare il cibo delle missioni aerospaziali bisogna sottostare alle regole dettate dalla Nasa – spiega Polato - il cibo che produco viene spedito a Houston e viene validato. Deve avere 18 o 24 mesi di conservabilità  a temperatura ambiente e  dei trattamenti preventivi affinché il cibo sia conservabile. L’attenzione massima va al rischio di volatilità, non ci devono essere pezzi solidi o liquidi che inizino a svolazzare  nella stazione spaziale quando il pasto  viene aperto e quindi occorre fare attenzione alle consistenze  e ai parametri di scivolosità del prodotto utili a garantire all’astronauta che una volta che raccoglie con la forchetta il pasto non si dissolva nella stazione.” Cibo buono al palato e nutriente.

“Si fa molta attenzione  a quelli che sono i tratti di carattere nutrizionale,  visto che le missioni sono molto lunghe si deve andare oltre la “razioni k” di sopravvivenza ma garantire all’ astronauta un certo benessere psicofisico – spiega lo chef di AstroSamantha - In collaborazione con i nutrizionisti ESA andiamo a creare dei piatti che siano utili ad arginare quelle problematiche fisiologiche a cui l’astronauta può andare incontro, quindi a rallentare l’invecchiamento cellulare accelerato che subisce l’uomo”.  

Ma come si diventa cuochi per lo spazio? “Io ci sono arrivato un po' per caso, non c’è una formazione ben precisa che permetta di diventarlo – afferma Polato - Una serie di coincidenze mi ha messo in contatto con l’ESA e con ASI su diversi progetti e la formazione è stata un pò home made. Si tratta di essere un mix  tra un cuoco e un tecnologo alimentare, durante il mio percorso ho affrontato studi di nutraceutica e nutrizione per avere un panorama più chiaro. Ad oggi in Italia siamo due aziende e a livello europeo si contano sulle dita di una mano.” Per ora un settore di nicchia “ma se pensiamo a quanto sta correndo la space economy e il turismo spaziale  - conclude lo chef - sicuramente è un lavoro che nei prossimi anni potrà essere più richiesto”.

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