Una giornata di approfondimento dedicata allo stato di salute degli ecosistemi marini e alle sfide future della conservazione si è svolta nell’Aula Magna di UniOlbia, con al centro i risultati delle ricerche condotte nell’Area Marina Protetta Tavolara–Punta Coda Cavallo. Il convegno è stato moderato dal biologo Stefano Acunto.

Ricercatori, enti istituzionali e operatori del settore hanno analizzato una robusta mole di studi scientifici che converge su un messaggio chiaro: per garantire la sopravvivenza dell’eccezionale patrimonio sommerso del Parco sono necessari un’evoluzione della gestione e vincoli più stringenti.

Dai monitoraggi sui coralligeni allo studio della fauna ittica, fino agli effetti del cambiamento climatico, il quadro che emerge evidenzia un ecosistema sempre più minacciato da riscaldamento delle acque, pesca eccessiva, attrezzi abbandonati e dalla crescente pressione dei megayacht. Tra gli interventi quello del professor Paolo Guidetti, direttore della ricerca presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn e dirigente del Genoa Marine Centre, che da oltre vent’anni collabora con l’AMP raccogliendo dati sulla fauna ittica attraverso tecniche di censimento visuale non distruttive. “I risultati che presento riguardano solo gli ultimi cinque anni di un lavoro che, per durata e quantità di dati, è diventato unico nel Mediterraneo – ha spiegato Guidetti – e mostrano in modo inequivocabile che nella zona A la fauna ittica è più ricca, più abbondante e composta da specie di grandi dimensioni”.

Diverso il discorso per le zone B e C, dove non si osservano differenze significative rispetto alle aree esterne al Parco. “Questo indica una pressione di prelievo che deve essere regolata – ha sottolineato – e che non è imputabile ai pescatori professionisti, bensì alle migliaia di pescatori ricreativi autorizzati, il cui numero va contingentato”.

Durante i censimenti, i ricercatori registrano anche la presenza di attrezzi da pesca persi: «Piombi, lenze, esche artificiali e persino aste di fucile in aree dove non dovrebbero trovarsi. Il sistema dei controlli deve essere rafforzato». 

Gli attrezzi abbandonati rappresentano una delle principali minacce per specie fragili come le gorgonie e coralli rari quali la Savalia savaglia. Proprio per proteggere la millenaria foresta di “corallo dorato” dei fondali del Parco, l’agosto scorso in sinergia con la Direzione Marittima del Nord Sardegna, si è messa in campo l’“Operazione Patriarchi” dalla quale è scaturita l’ordinanza che ha imposto lo stop a pesca e ancoraggio in un’area di 540 ettari tra Tavolara e Molara.

Il provvedimento, scaduto il 31 ottobre, ha consentito di proseguire le esplorazioni scientifiche, portando alla scoperta di foreste di Paramuricea macrospina oltre i 70 metri di profondità. Come illustrato da Egidio Trainito, collaboratore dell’AMP e ricercatore della Stazione Zoologica Anton Dohrn, negli ultimi dieci anni sono emersi anche importanti popolamenti di Eunecella rugosa nella variante rosa e della rara Leptogorgia sarmentosa. Specie tanto rare quanto vulnerabili.

«Il riscaldamento delle acque sta provocando cambiamenti decisivi – ha spiegato Trainito –. Le Gorgonie in buona salute si trovano ormai oltre i 40 metri; quest’anno abbiamo registrato 21 gradi a 50 metri di profondità. Gli habitat profondi vengono colonizzati da alghe prima assenti e assistiamo alla scomparsa di specie iconiche come scorfani rossi e aragoste, che oggi si incontrano solo oltre i 50-60 metri”. Sul tema del climate change è intervenuto anche il professor Federico Niccolini dell’Università di Pisa, che ha parlato di una situazione «molto allarmante» per la capacità del mare di fornire servizi ecosistemici.

«Oggi un ettaro di mare produce circa 5.000 euro l’anno in benefici ecosistemici – ha spiegato – ma nel 2050, anche all’interno di un’Area Marina Protetta, scenderà a 3.000 euro, mentre fuori dalle AMP a soli 2.000».

La conclusione è netta: “Distruggendo la natura diventeremo tutti più poveri. L’unica soluzione è la decarbonizzazione, ma continuiamo ad aumentare la CO₂ in atmosfera”.

Niccolini, che ha collaborato per vent’anni con l’AMP di Tavolara su studi socio-economici legati a turismo e pesca, ha ribadito l’urgenza di regolamentare la pesca ricreativa: “Servono nuove regole, controlli negli orari giusti e strumenti moderni come i droni. Fondamentale anche continuare nel percorso di educazione ambientale, in cui questa AMP rappresenta un esempio virtuoso». Mirare ad una evoluzione nella gestione il direttore dell’AMP Tavolara–Punta Coda Cavallo, Leonardo Lutzoni, che ha sottolineato l’importanza di «veicolare la conoscenza scientifica su ciò che sta accadendo nel Parco». Il presidente Francesco Lai ha chiarito l’obiettivo dell’incontro: «Mostrare alla comunità scientifica e ai cittadini le evidenze emerse per avviare due percorsi amministrativi: nell’immediato un ulteriore vincolo alla pesca e, in prospettiva, una revisione della zonizzazione». Alla giornata hanno partecipato anche il professor Giorgio Bavestrello (UniGe), Gianluca D’Agostino, Direttore Marittimo del Nord Sardegna, la dottoressa Martina Canessa (UniGe), il professor Alessandro Cau (Università di Cagliari) e la dottoressa Michela Angiolillo di ISPRA.

© Riproduzione riservata