È l’11 luglio del 1992, trent’anni e un giorno fa. In piena notte termina il sequestro del piccolo Farouk Kassam, prelevato da quattro malviventi il 15 gennaio nella villa di famiglia in Costa Smeralda quando ha appena 7 anni e rilasciato privo di un pezzo di orecchio dopo sei mesi di prigionia. Trattato come un animale, logorato psicologicamente, menomato fisicamente, il bambino viene liberato nella valle del Cedrino e riabbraccia il padre Fateh in una galleria vicino a Nuoro prima di essere portato nella casa di Pantogia, a pochi chilometri da Porto Cervo, dove lo aspettano la mamma Marion Bleriot e la sorellina Nour, 5 anni. Fine di un incubo e inizio della caccia all’uomo in tutta l’Isola per catturare i responsabili, mentre già attorno alla scena del crimine volteggiano personaggi oscuri come Graziano Mesina. L’ex primula rossa del banditismo sardo, pluri condannato e latitante per anni, rivela al Tg di Rai1 in anteprima il lieto fine e che la liberazione è arrivata grazie al pagamento del riscatto. Si parla di 5 miliardi di lire (nell’ultima lettera consegnata ai genitori, il 16 giugno, i sequestratori ne chiedevano 10), anche se inquirenti e investigatori specificano subito che (a loro dire) nulla è stato versato perché la liberazione è arrivata grazie alla pressione esercitata dalle forze dell’ordine. I rapitori si sentivano accerchiati e hanno preferito lasciar andare un peso ormai scomodo.

Le sentenze

Emergerà poi che Mesina si era attribuito il ruolo di mediatore e che a capo della banda c’era il lulese Matteo Boe, allora latitante. Catturato tre anni più tardi in un albergo di Porto Vecchio, in Corsica, dagli agenti della Squadra mobile di Sassari, aveva in tasca un rullino le cui foto, poi sviluppate, lo ritraevano davanti a una grotta sul Montalbo (riconosciuta da Farouk come sua prigione) e con i compaesani Ciriaco Baldassarre Marras, arrestato poco dopo, e Mario Asproni, a sua volta finito in cella dopo una breve latitanza. Alla fine Boe è stato condannato a 20 anni al termine del processo col rito abbreviato, mentre ad Asproni e Marras sono stati inflitti 30 anni. L’ex latitante di Lula è tornato in libertà nel giugno 2016 e ha pubblicato una sorta di autobiografia (anche il mamoiadino Annino Mele, coinvolto in omicidi e sequestri, è diventato scrittore); Mesina, che dopo aver trascorso quasi 40 anni in carcere nel 2004 aveva ottenuto la grazia dal Capo dello Stato, da dicembre sta scontando altri 30 anni per traffico di droga (sentenza definitiva del luglio 2020) dopo una latitanza di un anno e qualche mese. Sul resto della banda è calato il silenzio. Nessuno è mai riuscito a identificarla.

Una lunga stagione

Al sequestro Kassam erano seguiti quelli di Miria Furlanetto (luglio 1993), Giuseppe Vinci (dicembre 1994), Ferruccio Checchi e Vanna Licheri (maggio 1995). Nel febbraio 1997 a Tortolì era stata la volta di Silvia Melis, liberatasi nove mesi dopo, e nel settembre 2006 quella dell’allevatore Titti Pinna di Bonorva, tenuto in ostaggio a Sedilo e fuggito nel maggio successivo. Poi più nulla. Ma se una delle attività criminali peggiori pare conclusa, sostituita da altre forme di delinquenza tra cui i sequestri lampo, il traffico di droga e le rapine ai portavalori, non tutti i suoi protagonisti hanno pagato il proprio conto con la giustizia. Sono diversi i latitanti ancora in circolazione.

I latitanti

C’è Attilio Cubeddu di Arzana, 73 anni, alla macchia dal 1997, ritenuto tra i più pericolosi dal ministero dell’Interno: deve scontare 30 anni per il rapimento a Manerbio, Brescia, dell’imprenditore lombardo Giuseppe Soffiantini (giugno 1997). Ma, tra gli altri, ci sono anche il coetaneo Mario Sale di Mamoiada, sparito dal 1977 (deve scontare 30 anni per sequestri di persona, omicidio ed evasione); il 75enne Giovanni Tola di Borore (svanito nel 1985), Orazio Fancello di Talana (settembre 1992), condannato a 16 anni e 8 mesi per il sequestro di Esteranne Ricca (1987) nelle campagne di Grosseto; Fausto Floris di Desulo, condannato a tre anni e 11 mesi per il tentato sequestro, nel 1982, dell’imprenditore Paolo Sardo.

An. M.

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