Emigrata in Veneto paga cifre folli per tornare dal padre malato: «La Sardegna abbandona i suoi figli»
Paola Marras racconta di un viaggio che si è trasformato in una corsa a ostacoli fatta di biglietti aerei a peso d’oro e di una burocrazia che paralizza ogni dirittoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Sono sarda, ma per questa terra sono una figlia illegittima». Comincia così lo sfogo di Paola Marras, che racconta la storia (la sua) di una donna costretta a fare i conti con una Sardegna «matrigna» che, invece di accogliere i suoi figli, li respinge come estranei.
Paola, educatrice in Veneto, è rientrata d’urgenza sull’Isola, a San Gavino, perché il padre è gravemente malato.
Un viaggio che, racconta, si è trasformato in una corsa a ostacoli fatta di biglietti aerei a peso d’oro e di burocrazia che paralizza ogni diritto.
«Per arrivare ho pagato 125 euro di biglietto e mi è persino andata bene — scrive — perché i prezzi salgono come se stessimo volando a New York, non a Verona o Venezia».
Adesso, però, deve tornare al lavoro. E i prezzi lievitano senza pietà: quasi 300 euro per un volo di lunedì 21 settembre, la stessa cifra la domenica.
Il problema è che Paola non ha più la residenza in Sardegna. Questo significa niente continuità territoriale.
«Per lo Stato sono una turista. Una turista che corre al capezzale del padre morente. Una turista che paga il biglietto d’oro per abbracciare un genitore invalido».
E qui arriva un’altra ferita: il padre, gravemente invalido, non ha ancora la 104 perché in Sardegna una visita di accertamento si aspetta anche oltre un anno.
«Un anno di attese per un certificato, un anno di carta bollata mentre la vita reale ti crolla addosso. Un anno senza diritti, senza permessi, senza aiuti».
Parole dure, che si trasformano in un atto d’accusa diretto. «Così funziona la Sardegna matrigna: ti mostra il mare da cartolina, ma se devi spostarti per curare un padre, ti dissangua con voli impossibili; ti riempie di bandiere e folklore, ma se chiedi un diritto elementare come l’assistenza a un malato, ti mette in fila e ti lascia lì a marcire». E ancora: «Ti vende come figlio orgoglioso di questa terra, ma ti tratta come un numero, un peso, un fastidio».
Il grido di Paola però non è solo personale. È la voce di centinaia di sardi che vivono fuori: uomini e donne costretti a spendere stipendi interi per tornare dai genitori anziani, famiglie in attesa per mesi di un certificato, lavoratori senza tutele perché le norme restano intrappolate nella burocrazia.
«Io la continuità la vivo sulla mia pelle — accusa —. Quella di dover scegliere se pagare mezzo stipendio per tornare o rinunciare a stare accanto a chi amo. La continuità di file infinite, porte chiuse, domande respinte. La continuità di una Sardegna che ti lascia sola, mentre i politici volano a Roma con biglietti pagati da noi».
E lancia un appello è netto: «basta con i voli da rapina, basta con gli accertamenti lumaca, basta sentirsi cittadini di serie Z».
La Sardegna, conclude, non è solo spiagge e turismo da vendere al mondo, ma è fatta di carne e sangue: «di madri e padri che invecchiano, di figli che lottano tra un volo e un certificato per non abbandonarli. Noi non siamo turisti: siamo sardi. E a una madre vera non si dovrebbe chiedere l’elemosina del diritto».