In mille nella chiesa di Sant'Antonio per l'addio a Michele

Paciokkino è volato in cielo. Lo sussurrano a una ragazza gonfia di lacrime e dolore, mentre la bara bianca plana sotto l'altare della chiesa di Sant'Antonio sorretta da mani amiche.

In mille hanno sfidato trenta gradi all'ombra per l'ultimo saluto a Michele Palmas, morto nell'auto volata fuori strada a Cala Regina. Nei primi banchi familiari e altri adulti in ordine sparso, alle loro spalle rumoreggia una tribù di magliette sagomate e orecchini, tatuaggi e occhiali da sole che velano ciglia inumidite.

Dieci minuti prima delle 16,due ragazzi distribuiscono la foto di Michele formato tessera, sul retro nero su bianco una speranza alla quale si aggrappa solo chi ha fede: la sua giovinezza, Signore, fiorisca accanto a Te in Paradiso . Gerbere, rose, gigli, anturium e gladioli nelle corone firmate i colleghi del Granita Fun e Gli amici del Gazebo . Michele è morto mentre tornava a casa dopo una giornata di fatica sotto il sole e pochi affari. L'Istat classifica i casi come il suo alla voce morti sul lavoro in itinere . Nell'omelia don Arcangelo Atzei, parroco di dodicimila anime in gran parte disoccupate, cita sei volte la parola lavoro: «Vorremmo dirlo alla nuova giunta comunale di fare un giro per le vie del quartiere per capire quanto forte sia il bisogno. Michele cercava un lavoro, uno stipendio, per dire ai genitori "posso farcela da solo". Il bisogno spinge a corse forsennate come quella di questo ragazzo nelle curve della strada per Villasimius».

Più tardi nel silenzio della sacrestia il parroco spiegherà: «Vent'anni fa in questa zona non c'era una situazione così drammatica. I padri senza lo stipendio erano un'eccezione. Oggi in tante famiglie sono disoccupati genitori e figli».

Arrivano i ritardatari, per loro solo posti in piedi sul marciapiede. Gli ultimi sono due bambini in bicicletta, ammutoliti davanti al carro funebre. «Era un grande», racconta un amico, «Ci ha insegnato a comportarci. È stato un fratello maggiore per tutti». Un altro: «Scrivetelo che era una persona fantastica. Tutti gli volevano bene perché era speciale».

Dentro la chiesa il dolore muto della folla variopinta diventa pianto quando padre Atzei racconta di aver visto Michele nella bara: «Era vestito di bianco, sembrava uno sposo». Troppo per due ragazze che, sorreggendosi a vicenda, infilano l'uscita.

Passano i minuti e un gruppetto esce dalla chiesa. È il segnale che tanti aspettavano per l'applauso liberatorio. Un crescendo di battimani che magicamente s'interrompe per poi riprendere e smettere un'altra volta. Il terzo tentativo è quello buono, la bara bianca portata sulle spalle da un numero imprecisato di ragazzi luccica al sole, sui lato penzolano le maniche della maglietta con la scritta Cagliari sconvolts . La mamma, Gigliola, fende la folla, la bocca spalancata nel tentativo di inspirare tutta l'aria del mondo, il viso deformato dal dolore. «Non mi riprenderò mai, figlio mio, non ce la posso fare», grida prima di accasciarsi sul cemento di una panchina. La guardano senza muovere un dito, intuendo che qualunque parola sarebbe superflua: solo il tempo potrà aiutarla.

Nei ricordi di tutti Michele avrà sempre la faccia dei diciannove anni, il sorriso contagioso impresso nella foto scattata qualche mese fa. «Siamo abituati ai lavori faticosi. Abbiamo alle spalle carriere scolastiche non proprio perfette, ma invece di perdere tempo ai giardinetti abbiamo preferito fare lavori saltuari», si è quasi giustificato Antonio Milia, uno dei quattro sopravvissuti all'incidente. Vendevano granite sulla spiaggia di Costa Rei. Michele si era tuffato nel nuovo mestiere senza fare una piega, uno valeva l'altro, l'importante era racimolare qualche euro per non pesare sulla famiglia. L'ultima avventura prima del volo fatale sulla strada che, per tutti gli altri, è quella delle vacanze.

PAOLO PAOLINI
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