Ha scavalcato i cancelli del porto con l'impeto dei 21 anni. Ha bloccato i camion carichi di bestiame vivo, aperto i portelloni di carghi frigo dove riposavano quintali di carne già macellata. Era a Olbia quando l'Isola Bianca è andata in tilt. Ed era ovviamente a Cagliari nello sciopero degli scioperi, quando hanno espugnato il Consiglio regionale. Simone Cinus ha firmato con costanza, insieme ad altre centinaia di colleghi, il libro della partecipazione democratica. Rivolta di piazza, causa prezzo del latte e qualche altra centinaia di disfunzioni che la categoria mette in carico a industriali e politica. «A queste condizioni non si può più lavorare in campagna», argomenta pensieroso davanti al fuoco. Com'è finita? «Male, abbiamo perso, ci hanno fregato». E comunque ha preannunciato che sarà a Tramatza per la prossima riunione. Oggi ha saltato il turno, padre e madre e parenti vari lo hanno amabilmente dispensato dalla corvée maiali e galline e olive . Ma resta un allevatore a tutto tondo, che crede fermamente a un altro mondo possibile anche sui tratturi di Gutturu Saliu. Un dettaglio: Simone ha la sindrome di Down. Ma è, appunto, un dettaglio.

IN CAMPAGNA Ha la maglietta bianca e blu del suo team sportivo, jeans freschi di bucato, belle scarpe. Bisogna andare su nella porcilaia? Sparisce e ricompare con gli stivali giusti per l'occasione, non di gomma verde o marron che sarebbero banali ma colorati, pois su fondo bianco, poi via sul cassone del pick up, attento a non inzaccherare i pantaloni. Invita alla prudenza il compagno di viaggio mentre si infilano curve a gomito in superpendenza su cavalloni di fango. E quando il malcapitato cade lungo disteso dopo un dosso particolarmente gagliardo, se la gode di gusto per un'ora. A uso del padre che si è perso la scena perché al volante fa una sintesi secca, « sedere per terra », e giù risate. E Andrea, un omone col fisico squadrato e un pizzetto verticale che scende giù sottile dal labbro, gli accarezza la schiena come sanno fare solo i babbi.

FAMIGLIA DA CARTOLINA Un fratello di 27 anni, Nicola, che abita al piano di sopra con la fidanzata. La sorella Francesca, 31 anni, che adora, di cui è pazzamente geloso e chiama semplicemente «sorella». La madre Antonella lo guarda rapita e suggerisce i tempi di chiassosi sorrisi, perché non sembrino maleducati per gli ospiti. Il papà ha in vista alcuni tatuaggi, una certa aria da uomo di mare anziché di ovili a mezza collina. Prima ha fatto il carpentiere in giro per il mondo, ultime tappe in Iraq e Algeria, poi ha preso la via del ritorno verso un lavoro che aveva sempre amato. Tiene le vacche nei terreni militari della base di Teulada, ed è stata per anni una guerra atomica anche se oggi tira aria di armistizio. Le pecore sono in un altro terreno, le capre ancora altrove. Continuando sul sentiero oltre la casa in campagna, dove la vista si apre su Porto Pino e, al di là del mare, Sant'Antioco, c'è un'affollata porcilaia che è stata la scusa - otto anni fa - per coinvolgere Simone nei mestieri della campagna. Aria di serenità. «Ma quando è nato, terzo figlio, non tutto è stato rose e fiori», ricorda la mamma. Non sapevano che il piccolo fosse ammalato, non glielo hanno detto subito. «Ma io ho capito, aveva le manine troppo piccole. Due giorni dopo la conferma. Mio marito ha accettato subito, io no. C'è voluto tempo perché riuscissi a smettere di piangere e imparassi a sorridere. Il primo periodo è stato difficile, da un malanno all'altro, sempre in ospedale. Poi per fortuna tutto si è sistemato».

SONO EMOZIONATO Ha il sorriso strappacuore che lega insieme tutti gli ammalati di sindrome di Down. Però centellina la parole e ogni tanto arrossisce. Per sbloccarsi ha bisogno di parlare di allevatori, di quanto era adirato con la Coldiretti durante la protesta, di quelle parolacce scandite in corteo («qualcuna mi è sfuggita»). Giura la mamma che sia un po' tirchio, furbetto anziché no. Non apprezza per esempio che i suoi compagni di Special Olympics, ancorché invitati, si fermino a pranzo a casa sua: «Altrimenti c'è poco da mangiare». E non ha ancora deciso se il 17 dicembre, per il compleanno, comprerà i pasticcini: «Costano». Due anni fa si è diplomato, geometra a tutti gli effetti, anche se non ha nostalgia di squadra e goniometro. Governare un cantiere? Sorriso che vuol dire no grazie. Nostalgia della scuola? Macché, si annoiava, quando non c'era l'insegnante di sostegno era tosta reggere il passo degli altri. Ma c'era un gioco che ripagava di tutto: «Mangiare i panini dei compagni». Ha però un metodo tutto suo per governare le leggi geometriche e domare la simmetria che, tendenzialmente, gli sarebbe estranea: ritagliare. Elenca il verbo fra le attività fondamentali, quelle per cui vale la pena alzarsi dal letto, come la colazione alle sei del mattino con the e biscotti. Prende i giornali, la carta colorata, le forbici, e via con coriandoli perfetti, stelle filanti con segno prospettico annesso, curve sinuose e linee diritte. Geometra da par suo.

UN BEL GIORNO, LO SPORT È sempre andato in piscina accompagnato da un'educatrice. Ma il padre da tempo aveva deciso che si poteva (e doveva) fare di più. «Ho chiesto la collaborazione degli altri figli perché potesse frequentare anche la scuola di calcio. Era giusto che stesse in mezzo la gente, anche se per me era molto difficile accompagnarlo da una parte all'altra». Poi un giorno, tre anni fa, è incappato in Special Olympics nella persona di Carlo Mascia, superstar del settore. A Carbonia da una decina c'è la base operativa sarda (Associazione polisportiva Olimpia onlus) del gruppo che mette insieme atleti («speciali») con disabilità intellettive. È un'attività sui generis, dove non si parla di agonismo: l'importante è partecipare, e le parole hanno un senso oltre la retorica. Collaborano con Comuni, Regione e Ministero della Ricerca per costruire percorsi di vita, per quanto possibile autonomi, mascherati da sudore e allenamento. E i volontari vanno ogni giorno a prendere i ragazzi senza pullmini comprati con le offerte di generosi sponsor ma con la propria macchina, magari scassata. Si organizzano eventi, sia quel che sia: gare su ciaspole in montagna, corsi di sci nautico a La Maddalena, tornei di basket. Ma anche tour di sostegno a squadre-mito, l'ultimo al Palazzetto di Sassari per la partita della Dinamo, dopo il terzo tempo tutti in campo con la maglietta d'ordinanza. «Il valore intrinseco è stare insieme - annota Stefania Rosas, responsabile psico-pedagogica - ed è sbalorditivo come i nostri atleti riescano a creare subito la socialità che magari gli era stata negata fino a quel momento». I genitori di Simone hanno incontrato i responsabili, due chiacchiere, si sono piaciuti. «Gli abbiamo affidato nostro figlio perché ci siamo fidati. E oggi è un orgoglio vederlo partire».

VALIGIA, CHE PASSIONE Gli ultimi campionati sono stati, qualche giorno fa, a Varsavia. Ma la prova del fuoco era stato il primo viaggio: Castellarano, provincia di Reggio Emilia. Per Simone era la primissima volta, era stato diligente, responsabile, discreto piazzamento. A giochi finiti, al momento di lasciare l'albergo, l'allarme degli accompagnatori: il ragazzo è sparito. Introvabile per un po', roba da sangue alla testa. Poi è ricomparso: gli era sembrato carino andare a salutare la stanza che lo aveva graziosamente ospitato, chi poteva dargli torto? Poi sono venute Montecarlo e Roma, Monza e Pinzolo (Dolomiti di Brenta, sulla neve, l'apoteosi). E, dappertutto, fosse il Principato di Monaco o il palazzo del Comune di Teulada, una passione irrefrenabile per gli ascensori. Il mezzo di trasporto ideale, ciascuno ha il suo.

REGOLE DI VITA Karaoke, passione travolgente. Non c'è passatempo che regga il confronto, chiedere ai giapponesi se è una stravaganza. Poca televisione. Molto computer, con qualche digressione licenziosa ammessa senza rossori: «Mi piacciono le donne». Poi c'è un'altra debolezza, la tombola, unico giocatore: «Qualche volta vinco io, altre lei». Basta fissare le norme e nessuno dei due può barare. Poi lo sport e il programma sembra qualche volta perfino troppo intenso. «Ogni tanto, all'uscita dalla piscina, ci avverte: non venite a prendermi domani, sono stanco e devo riposare». Da qualche mese c'è una responsabilità in più: Mascia, direttore regionale di Special Olympics, ha voluto che fosse lui (insieme ad un altro atleta speciale) a battezzare il figlio Mirco. «Sono il padrino ed è una bella responsabilità», annota pensieroso e intanto in famiglia si riflette sul regalo di Natale.

PASTORE ERRANTE «Meglio dire allevatore», precisa, perché le parole hanno un senso. Certo non manda avanti l'azienda da solo e ogni tanto si concede qualche piccola licenza d'orario. Però su un punto non si discute: in campagna non si gioca, è una cosa seria. Sa qual è il momento per far scorrere l'acqua per i maiali, solleva sacchi di mangime da cinquanta chili, distribuisce secchi di fave alle scrofe, grano e piselli ai maialetti più piccoli, sistema il foraggio. E se c'è da essere in piedi alle cinque, mette coscienziosamente la sveglia anche se spesso fa errori strategici. Poi talora dimentica di essere un ometto di campagna e fa spuntare il bambino, quello che insegue nel pollaio le galline preferite. E, quand'è il momento, prega fino alle lacrime i genitori di non ucciderle. Non sarà granché professionale ma chi non ha debolezze?

LORENZO PAOLINI

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