Università sarde a rischio: i ricercatori in fuga per colpa di tagli e nepotismo
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Più che un allarme, quello dello Svimez assomiglia più a una sentenza: entro 15 anni le università del sud rischiano di sparire per mancanza di fondi.
I criteri di finanziamento favoriscono gli atenei più grandi, quelli con più studenti, meglio se in corso. Ecco perché chi può emigra: «L'ottanta per cento dei miei colleghi di corso vive all'estero», racconta Marta Costa, trent'anni, cagliaritana, neuroscienziata del Francis Crick Institute di Londra.
Dopo la laurea - qualcuno anche prima - si parte, meglio se per l'Europa del nord dove la ricerca è un'altra cosa: più risorse, strumenti migliori, stipendi più alti, nepotismo quasi inesistente.
Negli ultimi vent'anni il flusso è stato a senso unico. Gli atenei sardi hanno prodotto laureati e ricercatori ben formati che per trovare soddisfazione hanno dovuto lasciare l'Isola. Qualcuno è tornato grazie ai bandi finanziati dal ministero dell'Istruzione.
Questo non significa che i ricercatori sardi non siano bravi. Anzi. Tutti sottolineano come sia quasi esclusivamente una questione di soldi: in Italia - e a cascata, in Sardegna - i fondi dedicati a questo settore sono noccioline. Qui viene stanziato l'1,3 per cento del Pil. La Finlandia e Svezia spendono quasi tre volte tanto, la Germania più del doppio, pure Slovenia, Estonia e Repubblica Ceca ci distanziano. E allora: perché tornare?