Il caso Palamara che sta investendo come un uragano il Consiglio Superiore della Magistratura svela un mercato delle poltrone, con magistrati l'un contro l'altro armati, tra veleni e stilettate, e un uso del processo penale come strumento di risoluzione di lotte intestine, garantendo l'impunità agli amici e minacciando di denuncia gli avversari. Insomma, una resa dei conti tra magistrati senza precedenti, che incrocia la questione giustizia con la questione morale.

Già in passato allarmava il fenomeno delle cosiddette "porte girevoli" per i magistrati che scendono in politica, facendo una precisa scelta di campo, e poi tornano in magistratura. Ma la degenerazione che sta emergendo dalle intercettazioni pubblicate è ben più grave. Intendiamoci, vale anche per il dottor Palamara e gli altri indagati la presunzione di innocenza e i gravissimi fatti trapelati sui giornali dovranno essere dimostrati in un giusto processo e al di là di ogni ragionevole dubbio. E si deve riconoscere che è grazie al fondamentale ruolo dell'informazione, indispensabile in una democrazia, persino su fatti non penalmente rilevanti ma di pubblico interesse, che si è scoperchiata la pentola del malaffare.

Certo, dalle intercettazioni emerge di tutto: chiacchierate, vanterie, relazioni sentimentali, progetti, scherzi, persino ogni più recondito sospiro della vita di ciascuno di noi. Ma questo è il risultato dell'avvento del trojan, un micidiale strumento che, in questo caso, ha avuto il merito di rivelare a che punto arriva il carrierismo tra le toghe.

Uno strumento che tuttavia spia l'intimità di tutti, anche di chi non è oggetto di intercettazione ma per sventura entra in rapporto con l'intercettato.

Sull'invasività del mezzo, in tempi non sospetti, avevamo già messo in guardia il legislatore, ma le Sezioni unite della Corte di cassazione lo hanno sdoganato soltanto per i delitti di criminalità organizzata, mentre la "legge spazzacorrotti" l'ha invece esteso ai reati contro la pubblica amministrazione, consentendo così di intercettare Palamara indagato per corruzione a Perugia. Occorrerà decidere, una volta per tutte, se, in nome dell'accertamento della responsabilità di pochi, siamo davvero tutti disposti a rinunciare alla nostra intimità.

È vero che ciò che emerge dalle intercettazioni è inquietante e rischia di delegittimare, agli occhi dei cittadini, l'intera categoria dei magistrati, minando alle fondamenta lo Stato di diritto, con un ulteriore crollo della credibilità dei cittadini nella giustizia. Va però subito detto che le generalizzazioni non sono mai ammesse. Solo il dottor Davigo, anche lui al Csm (ma rimasto stranamente silenzioso in questo caso!), sosteneva che "non esistono politici innocenti, ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove". Noi onestamente riconosciamo che la gran parte dei magistrati sono persone serie e laboriose, che talvolta hanno anche sacrificato la propria vita per assicurare ai cittadini il rispetto della legalità.

D'altronde, il fatto stesso che altri magistrati stiano indagando sulla vicenda, significa che, all'interno del corpo della magistratura, esistono gli anticorpi idonei a debellare il male. E tuttavia, come sappiamo, bastano poche mele marce per guastare l'intero paniere, per cui i fatti gravissimi che abbiamo letto sulle pagine di tutti i giornali dovranno essere accertati in un regolare processo, ma soprattutto occorre rimuovere le cause di tale criminale gestione del Csm affinché non abbia a ripetersi in futuro.

I Costituenti immaginavano un sano dialogo, all'interno del Csm, tra la componente laica e quella togata, non certo l'innaturale incesto, cui ora assistiamo, tra politica e toghe sporche. Le cause di tale malgoverno del Csm vanno evidentemente ricercate nelle correnti che all'interno dello stesso Csm operano come partiti politici ma sono ormai degenerati in lotte per bande.

Certamente non è semplice sostituire il meccanismo delle elezioni dei componenti togati del Csm perché tale metodo elettivo è prescritto dall'art. 104 della Costituzione, per cui occorre procedere alla revisione della Costituzione per prevedere una diversa modalità di accesso. E l'occasione non sarebbe da perdere per separare finalmente la carriera giudicante da quella requirente, come impone un autentico processo accusatorio, istituendo due distinti Csm, uno per i giudici e l'altro per i P.M.

Quale poi possa essere la modalità di accesso al Csm, diversa dalla elezione, è oggetto di ampia discussione: c'è chi propone un sistema casuale come il sorteggio, chi una rinnovazione graduale del Csm che riduca il peso delle correnti, chi un sistema misto con elezione di un'ampia rosa di candidati, dalla quale effettuare poi un sorteggio. Ciò che è certo è che per l'attribuzione di incarichi direttivi e semi-direttivi si dovrebbe seguire un criterio esclusivamente meritocratico, come in tutte le selezioni pubbliche. Questo perché il magistrato è come la moglie di Cesare: non basta che sia onesta ma deve pure apparire tale al popolo, in nome del quale sono pronunciate le sentenze.

Leonardo Filippi

(Università di Cagliari)
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