"Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco", recita un vecchio adagio. E il Conte "Giuseppi", finalmente col "gatto in sacco", in barba a quanti, soprattutto tra i sovranisti, ansiosamente attendevano il proverbiale passo falso per estrometterlo dalla stanza dei bottoni, nel corso della serata di ieri è riuscito ad aggiungere un nuovo tassello nella costruzione del suo "ambizioso" programma politico, attribuendosi addirittura con fierezza la paternità delle scelte operate dall’Eurogruppo all’esito del Consiglio Europeo.

In buona sostanza, e per dirla in breve, con il ricorso al c.d. Fondo di Recupero, nato in realtà da una iniziativa francese fin da principio, comunque appoggiata dal premier, si arriverà non già ad una condivisione dei debiti pregressi, aspramente osteggiata, e direi comprensibilmente, dai Paesi dell’Europa del Nord, quanto, piuttosto, ad una condivisione del rischio finanziario nel prossimo futuro da parte di tutti i 27 membri attuata mediante l’emissione di titoli di debito comuni (per il momento, parrebbe, a fondo perduto), garantiti dal bilancio dell’Unione.

Innegabilmente ci troviamo di fronte ad un risultato importante le cui conseguenze potrebbero presentare risvolti decisamente interessanti. In particolare, siamo davvero di fronte ad un rinnovato patto di solidarietà comunitaria? In questo momento di difficoltà pressante, potenzialmente idoneo a mettere in discussione la tenuta della stessa compagine europea, quello che passerà ai posteri come il "grande compromesso francese" costituisce veramente una "tappa importantissima della storia moderna"? Questa ritrovata armonia collaborativa come potrà incidere, se realmente inciderà, sulla distribuzione degli equilibri di potere non solo tra i vari Stati membri nei loro rapporti interni, ma anche tra l’intera compagine geopolitica unitariamente intesa e le altre grandi potenze planetarie come, ad esempio, la Cina?

E sul piano politico interno, l’esito del vertice di ieri pomeriggio riuscirà a ricompattare la maggioranza di governo conferendo nuova linfa al "Conte bis" mettendolo definitivamente al riparo da subdoli attacchi intestini diretti a minarne la stabilità?

L’atteggiamento fortemente decisionista, e per molti versi autoritario, assunto dal premier durante l’intero periodo di emergenza sanitaria vale a qualificarlo come nuovo e autentico leader nel contesto del frastagliato panorama politico italiano tristemente caratterizzato, negli ultimi tempi, dai cosiddetti politici "mordi e fuggi" carichi di forti aspirazioni ma privi di concreti contenuti programmatici? Chi vivrà vedrà borbotteranno, gufando, i più scettici e i più ostili.

Ma in realtà, le impronte di quel che presumibilmente "sarà" potrebbero essere più evidenti di quanto si sia disposti ad ammettere.

Intanto, perché il valore, in termini di contenuto, dell’operato di Conte (presentatosi al cospetto dei grandi leader europei non a suon di pugni sul tavolo e/o toni sonanti ma attraverso la sapiente creazione di pacate reti di dialogo con gli uomini chiave del potere, tra i quali l’imperturbabile Macron, resosi nei fatti autore materiale della mediazione tra le istanze italiane e quelle tedesche) ha trovato piena conferma nelle parole dello stesso Charles Michel che ha riconosciuto la assoluta necessità del summenzionato Fondo di Recupero, il quale, a sua volta, dovrà essere, sulla scorta delle apprezzate sollecitazioni italiane finalizzate a "non lasci (ar) indietro nessuno", non solo "di entità sufficiente", ma anche da "destinar (si) ai settori e alle parti geografiche dell’Europa più colpiti".

Quindi, perché questa neo riconosciuta consacrazione del premier tra i Grandi d’Europa, assordante al punto da risvegliare un oramai sopito Beppe Grillo dal suo letargo, contribuisce per un verso a cementare il processo di necessaria ricucitura degli strappi che, soprattutto nelle ultime settimane sulla scia del falso problema rappresentato dal Fondo Salva Stati, hanno dilaniato le forze politiche della maggioranza esasperandone gravemente gli animi, e, per altro verso, a stringere nuovamente quelle stesse forze attorno a colui che oramai a tutti gli effetti rappresenta il nuovo leader indiscusso non di un singolo partito, ma dell’intera coalizione giallo rossa (anch’essa prossima, con buona verosimiglianza, ad una futura mutazione genetica di selezione naturale e di conseguente fusione), per la sua incontrastata, sia pur per molti versi discutibile, capacità di dettare la linea assumendo consapevolmente su di sé, senza mai artatamente rifuggire dal suo ruolo, il carico delle scelte di volta in volta operate.

Inoltre, perché, sul piano comunitario, l’intervento pacificatore di Macron tra le istanze italiane e quelle tedesche, lungi dal porsi come una spaccatura nel e del tradizionale asse franco tedesco, costituisce il segnale evidente della riconosciuta esigenza, certamente sollecitata dalla circostanza pandemica, di allargare strategicamente quello stesso asse anche all’Italia e, più in generale, ai Paesi dell’Europa meridionale, nel chiaro tentativo di ridurre il "gap" attualmente esistente nella distribuzione della ricchezza in seno all’intera compagine al fine di favorire una nuova, e più egualitaria, ripartenza economica comune giustificata dalla piena consapevolezza che l’esistenza dell’Europa serve oramai più a se stessa, in sé e per sé considerata, che ai singoli componenti.

Infine perché la costruzione di una nuova Europa, coesa anche sul piano dello sviluppo economico comune a tracciato parallelo, rappresenta uno scudo insuperabile da contrapporre, allo stato, alla "pericolosa" espansione cinese, definita dallo stesso Macron come temibile "rivale sistemica".

Per il momento, dunque, il premier c’è e si è fatto sentire. Continuerà ad essere all’altezza del suo ruolo?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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