C'è festa e festa. Quella per il suo compleanno, il 4 agosto, gliel'hanno organizzata nel reparto di Ortopedia del Brotzu (l'ospedale che ha lasciato pochi giorni fa), dov'era ricoverato dopo un periodo in Terapia intensiva. Sa di essere un "miracolato": «Sull'eliambulanza mi hanno caricato pezzo a pezzo, tutti erano convinti che sarei morto in poche ore, dopo un incidente stradale tanto violento. Però hanno fatto tutto quel che dovevano, quei santi». Resta il fatto della festa, che non era in preventivo in quanto, come dice lui stesso, «non lo era il mio compleanno». Ne è certo: «Non sono risorto: sono rinato». Ecco perché, alla festa che alla fine si era fatta in un reparto addobbato, c'erano due torte: «Una con un 67, che è la mia età, e l'altra con un grande zero. È un nuovo venire al mondo». Il miracolo dopo la sciagura del 5 luglio scorso: Michele Caredda, ex direttore della Motorizzazione civile provinciale, in pensione da quattro anni, stella del Brill nella serie A di basket negli anni Settanta (è alto 188 centimetri), è in vacanza a Villasimius. La mattina esce in bicicletta con amici della Repubblica Ceca, poi riceve la telefonata di un amico che ha bisogno del suo aiuto a Tortolì. «Così, invece di riposarmi e bere molto dopo pranzo, com'era mia abitudine, mi metto in macchina. A Gairo, all'uscita da una galleria, mi addormento al volante. Mi diranno poi che non era un colpo di sonno, bensì l'effetto della disidratazione. La mia Bmw 320 invade la corsia opposta e si schianta tra gli assi anteriore e posteriore di un camion».

E comincia il calvario.

«Un calvario cosciente: non sono mai svenuto né stato in coma, nemmeno farmacologico. I vigili del fuoco arrivano subito e, con sapienza, in un'ora e mezza mi tirano fuori da sotto il camion senza aggravare le mie condizioni. Mi mettono sull'elicottero del 118, raggiungiamo il Brotzu. All'atterraggio chiedo "Chi ha il mio telefonino?"».

Delirava?

«Niente affatto: quello è successo dopo con il delirio da sedazione, quando mi strappavo tubicini e cateteri in Terapia intensiva, rischiando di uccidermi tutte le volte. Volevo il telefono per informare la mia compagna Annarita (Montanaro, ndr), che non sapeva niente».

Ovviamente, non gliel'hanno dato.

«Al contrario: mi stavo agitando e quindi mi sono ritrovato il cellulare in mano. Così ho informato quella che, da lì a poco, sarebbe diventata il mio angelo custode, e lo è tuttora. Non si muoveva dal mio letto, per chiamare subito gli infermieri quando mi strappavo via tutto. E subito dopo aver ricevuto la mia telefonata, ha chiamato tutti gli ortopedici che erano in vacanza per informarli che ero al Brotzu in condizioni estremamente gravi».

Viste le sue lesioni, era un caso disperato.

«Ero un morto che respirava, i medici mi ritenevano un caso senza speranza. Dopo aver lasciato la Terapia intensiva del Brotzu ero ricoverato in Ortopedia. Il primario Giuseppe Dessì, quando ormai ero in fase di ripresa avanzata, mi ha mostrato le foto delle mie gambe e di un mio braccio all'arrivo al pronto soccorso: sono impressionanti, macelleria. Mi hanno definito il terzo caso peggiore nella storia del reparto».

Ha rischiato anche di avere embolie.

«Una morte più che possibile, dopo un trauma come quello. Ma non è andata così».

Non era la sua ora?

«Mi chiedo il perché di questo piccolo miracolo e non so rispondermi. Certo, sono sempre stato un atleta e questo ha certamente giovato, soprattutto per quanto riguarda la resistenza del cuore. Resta il fatto che la Bmw 320 è un'auto piuttosto bassa e che mi sono incastrato sotto un camion: guardando le foto dell'incidente, ancora mi chiedo come e perché sono salvo».

Il come si sa. Il perché?

«Quello no, a parte la questione del fisico forte che, però, non basta a spiegarlo. Ma ho smesso di chiedermelo: m'interessa di più occuparmi del neonato Michele Caredda, quello della torta per il compleanno zero. Sono qui di nuovo, mi gira la testa per l'aria così ossigenata del Poetto dopo tanto tempo in ospedale. Sono dolorante, felice e commosso».

Un nuovo Michele.

«Basato sul precedente ma sì, nuovo. Sono pieno di gratitudine per chi mi ha soccorso e curato, per chi mi è stato al fianco benché fossimo insieme da pochi mesi, per la famiglia del basket che sempre mi è stata vicino, fin dal primo giorno. Sono grato di esserci, felice che questa disgrazia abbia reso ancor più speciale il rapporto con mia figlia Francesca, che ha 25 anni e vive in Svezia. Sono felice che i miei amici ciclisti di Praga vengano a trovarmi e si facciano sentire, di aver selezionato gli affetti, di aver visto grandi prove di amicizia da persone da cui non le aspettavo».

Nessuno l'ha delusa?

«Qualcuno sì, ma preferisco godermi il piacevole stupore di chi c'è più di quanto pensassi. È una gran cosa, per un neonato».

Luigi Almiento

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