C'è chi ha avuto fortuna e successo, ad esempio Maria Manconi, nuorese, morta molto anziana, che in Paraguay, con il marito italiano conosciuto lì, aveva costruito la più importante industria farmaceutica del Paese, e in vacanza non amava andare nei vicini Caraibi ma preferiva tornare a Cala Liberotto per rivedere gli amici di quando era bambina.

Altri si sono barcamenati guadagnando appena il necessario per la sopravvivenza, come il signor Giuseppe, in Argentina, che all'apice della crisi del 2001 ha perso tutto e soffriva come un cane, ma a chi lo ha conosciuto chiedeva per favore di non raccontare niente alle sorelle rimaste nell'Isola, che non voleva si preoccupassero, e comunque lo dovevano immaginare benestante e contento dall'altra parte del mondo.

LE RICERCHE - Mauro Giovanni Carta, direttore del Centro di psichiatria di consultazione e psicosomatica dell'Aou di Cagliari, storie come queste ne sa a decine. Sono il lato, diciamo così, affettivo e sentimentale dei suoi studi sugli emigrati sardi portati avanti da molti anni («abbiamo raccolto l'eredità di Nereide Rudas») e che continua a trasmettere ai suoi discepoli.

L'obiettivo è analizzare la qualità della vita e l'aspetto psico-sociale delle persone che sono andate via, la capacità di chi ha lasciato piccoli paesi della Sardegna - dove i ritmi sono lenti - ad adattarsi a una nuova routine in una megalopoli in cui tutto è, al contrario, frenetico e veloce. «In sintesi, vogliamo comprendere se gli emigrati sono felici e sani o hanno sviluppato disturbi maniaco-depressivi o comunque presentano frequenze più alte di ipomania rispetto a chi ha lo stesso background genetico e vive in Sardegna. Cioè, e lo abbiamo già riscontrato a Buenos Aires, se hanno fasi di accelerazione dell'umore - se sono su di giri, eccitati, dormono poco, parlano a voce alta, hanno talvolta approcci sessuali inappropriati - pur senza arrivare alla soglia patologica del bipolarismo».

I PROGRAMMI - Aggiunge: «Grazie agli ottimi rapporti che abbiamo con diversi atenei del Sud America e a Globus, il programma di mobilità studentesca che assegna piccole borse per attività di studio, ricerche per la tesi e tirocini in ambito extraeuropeo, i nostri ragazzi stanno facendo esperienze e progetti di grande rilevanza». Dunque, le indagini già compiute riguardano l'Argentina (sono stati pubblicati tre lavori sui risultati ottenuti) e attualmente è in corso una missione a Rio de Janeiro, dove Michela Atzeni, Stefano Lorrai, Alessandra Lussu, Silvia D'Oca e Alessio Cocco, studenti tra i 22 e i 26 anni, stanno raccogliendo materiale per le loro tesi di laurea in Scienze riabilitative delle professioni sanitarie nella facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Cagliari.

«Il nostro scopo è comprendere la situazione del migrante sardo in termini di benessere fisico e psico-sociale, di scoprire eventuali differenze tra i sardi che vivono in Brasile e i sardi che vivono nell'Isola e se c'è una relazione tra i disturbi dell'umore e le crisi economiche», raccontano. «Qui in Brasile il lavoro è stato avviato nel 2017 da tre nostre colleghe, Serena Stocchino, Eleonora Prina e Vanessa Ledda, che hanno vinto la stessa borsa di studio. Ora noi cercheremo di ampliare il campione, ci interessa scoprire se le persone che scelgono di migrare presentano determinate caratteristiche e attitudini personali che consentono loro di adattarsi all'ambiente del Paese di destinazione e se esistono differenze tra chi sceglie di vivere in città e chi in zone rurali».

IL CAMPIONE - La ricerca coinvolge emigrati di prima e seconda generazione, e anche figli e nipoti nati Oltreoceano. «I primi contatti avvengono per telefono e via social», spiegano. E tutti quelli che rispondono all'appello sono non soltanto entusiasti di partecipare, ma anche di accogliere gli studenti, invitarli a pranzo e coccolarli come se fossero parenti lontani appena arrivati dall'amata e mai dimenticata terra d'origine.

Cristina Cossu

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