Dal Brotzu alla Palestina per curare i bimbi: "Così salvo i piccoli di Gaza"
C'è un ospedale in un posto molto lontano in cui le liste d'attesa sono senza tempo. Non si contano i giorni ma i mesi scanditi dalle missioni di medici arrivati da paesi stranieri per curare bambini che "non hanno un'altra possibilità".
IL PROGETTO - Roberto Tumbarello, direttore del reparto di Cardiologia pediatrica del Brotzu, domenica volerà a Tel Aviv e proseguirà in auto fino in Cisgiordania per unirsi ai colleghi del Pcrf (Palestine children relief fund), un programma dedicato al soccorso e alla cura dei piccoli palestinesi. Sarà il sesto viaggio nei Territori e lo riporterà a Ramallah dopo le esperienze degli anni scorsi a Gerusalemme e nella Striscia di Gaza.
Questa volta ad attenderlo troverà Ibrahim, 7 anni, Hamad, due mesi, e tutti gli altri piccoli pazienti selezionati studiando le cartelle cliniche che una cardiologa palestinese gli ha inviato nei giorni scorsi su whatsapp. Gli altri li vedrà nell'ambulatorio dell'ospedale di Ramallah e solo allora deciderà se potranno essere operati oppure no.
DEDICHE DEI BIMBI - "Amo il lavoro che faccio qui al Brotzu, ma lì tutto assume un significato diverso. C'è più soddisfazione nell'aiutare persone che non hanno altre soluzioni, bambini che vivono un'esistenza in cui ogni cosa è molto difficile. A Gaza c'è una situazione pazzesca, è una galera".
Non si dà arie da eroe e mostra le foto dei suoi pazienti sotto lo sguardo di Biancaneve e dei sette nani sistemati in fila sullo schermo del computer al centro di questo ufficio imbottito di foto ricordo, pupazzi, disegni, targhe e dediche lasciate dai bimbi a cui ha salvato la vita.
IN MISSIONE - In Cisgiordania sarà un'altra cosa. Lunghe ore da trascorrere tra pareti grigie e stanze affollate da genitori in cerca di una speranza per i loro figli malati. Le giornate iniziano presto. "Cominciamo alle 7.30 ma non sappiamo mai a che ora finiremo. Eseguiamo fino a 16 interventi al giorno. Ma non solo. Facciamo formazione ai colleghi sul posto e visitiamo bambini che arrivano da altri centri".
Il giorno dopo ricomincia tutto daccapo. Inutile chiedere di un bimbo che ha lasciato un ricordo più forte degli altri.
"Hanno tutti bisogno di noi. Quel che non potrò dimenticare è un pomeriggio in cui mi portarono a visitare Gerico. In questa landa deserta un uomo mi venne incontro. Era un cammelliere e pensavo che volesse vendermi souvenir o che volesse chiedermi del denaro. Invece era lui che voleva darmi qualcosa. Non lo conoscevo ma lui sapeva chi ero ed era lì per farmi un regalo. Mi voleva ringraziare perché avevo operato suo nipote. Si tolse la kefia e me la diede. Fu commovente, un'emozione che qui è difficile provare".
SOTTO LE BOMBE - Tra le immagini delle esperienze passate anche quelle di una notte in cui la tensione riesplose. "Era l'una del mattino e stavamo lasciando l'ospedale quando gli F16 israeliani bombardavano per rispondere agli attacchi di Hamas. Era l'ultima intifada e tornando in hotel ho pensato che sarebbe finita lì".
Invece Roberto Tumbarello oggi si prepara a una nuova missione: una settimana nell'ospedale di Ramallah alla guida di un'équipe formata da dieci professionisti, medici provenienti da tutto mondo, che seguiranno un'agenda fitta di interventi per salvare la vita e restituire il sorriso a centinaia di bambini. Perché, per fortuna, nulla finì quella notte.
Mariella Careddu