«Se si è riusciti a fermare la guerra a Gaza, allora si può fermare anche quella della Russia». Eccolo, l’amo lanciato dal presidente Volodymyr Zelensky sulla scia del cessate il fuoco in Medio Oriente. Il leader ucraino è tornato a parlare con Donald Trump e gli ha recapitato un messaggio che è a metà tra una richiesta di aiuto e una sfida. E non sembra essere andata male. Nel corso della telefonata, ha riportato Axios, Trump e Zelensky hanno parlato della consegna dei missili a lungo raggio Tomahawk e del rafforzamento della difesa aerea ucraina attraverso l’utilizzo degli F16 statunitensi. Il colloquio, ha spiegato Zelensky, «è stato molto produttivo».
Il territorio al buio
Il punto di contatto è avvenuto in un momento difficile per Kiev. Gli attacchi di Mosca nelle ultime settimane si sono intensificati e hanno mirato, in vista del freddo inverno, alle infrastrutture energetiche. Nella notte tra venerdì e sabato è stata presa di mira l’oblast di Odessa, 44 insediamenti della regione sono rimasti al buio. Nelle stesse ore l’Ucraina ha fatto sapere di aver respinto un nuovo assalto russo nel Donetsk e di aver ripristinato l’elettricità sulla riva sinistra del Dnipro, a Kiev. Il colloquio tra Zelensky e Trump è durato circa trenta minuti ed è servito a comprendere come, anche per il presidente americano, il cosiddetto effetto Alaska sembra essere finito. Certo, per Trump muoversi nei confronti di Vladimir Putin non è semplice. Lo schema non può essere quello usato per Gaza, dove il tycoon ha concordato il piano di pace con il suo alleato più stretto, Israele, inviando poi al loro nemico comune.L’invio dei Tomahawk americani potrebbe in ogni caso avere un effetto sostanziale sugli equilibri tra Mosca e Kiev. La gittata di queste armi è di circa 2.500 chilometri, nel mirino potrebbero finire oltre duemila siti russi.
I dossier sul tavolo
«L’ho informato degli attacchi russi alla nostra energia. Sono grato per la disponibilità a sostenerci», ha anticipato Zelensky. Da qui a dicembre, a muoversi sarà però anche l’Ue. Due i binari principali: da un lato la roadmap per la difesa comune, che sarà presentata giovedì e comprende ovviamente anche il rafforzamento di quella ucraina; dall’altro l’uso degli asset russi immobilizzati per il Prestito di riparazione per Kiev. Entrambi i dossier saranno sul tavolo del Consiglio europeo di fine ottobre. Il secondo tema risponde a un’esigenza, innanzitutto: finanziarie l’Ucraina senza perdere ulteriori risorse comunitarie. Le perplessità della Bce sulla validità legale dello strumento sembrano essere superate. Non lo sono quelle di alcuni Stati membri. Al Belgio, che detiene la gran parte degli asset congelati di Mosca, vanno fornite rassicurazioni precise. La Commissione ha già chiarito e tornerà a chiarire che non «ruberà» i beni di altri, come ha accusato Viktor Orban, ma si impegnerà a fornire garanzie proprie nel caso in cui Mosca non risarcisca Kiev della guerra. Entro fine anno l’obiettivo di Bruxelles è ottenere il via libera all’uso degli asset, portando a bordo anche i Paesi G7. Il sì dei leader potrebbe arrivare al summit di dicembre. A Palazzo Berlaymont sono ormai certi che non sarà unanime - l’Ungheria si smarcherà - ma puntano a ottenere l’ok dei 26. Usando uno schema che potrebbe ripetersi su altri dossier riguardanti l’Ucraina. Uno su tutti, quello del percorso di adesione di Kiev.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati
Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.
• Accedi agli articoli premium
• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi