Isili.

Vecchi e malati psichici dimenticati in ospedale «Nessuno viene a trovarli» 

La denuncia di don Antonello Demurtas: «Tanti qui da mesi, famiglie indifferenti» 

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Inviata

Isili. C’è Marco, 80 anni, arrivato da Cagliari la scorsa Pasqua. E Giuseppe, 70 anni, anche lui originario del capoluogo, dimenticato qui dall’inizio dell’estate. Per non dire di Guglielmo, settantenne dell’Iglesiente che conta i giorni e si meraviglia di essere giunto a novanta. Tre mesi come Luigi, cagliaritano di 50 anni, che però è da febbraio che manca da casa. Nomi senza volto, vecchi e malati psichiatrici con storie di solitudine e abbandono, parcheggiati in un letto d’ospedale e dimenticati dalle famiglie e dal mondo.

Truppe sguarnite

«Siamo l’ultima frontiera della sanità», allarga le braccia don Antonello Demurtas, rivolgendo lo sguardo al Gesù Bambino assiso sull’altare della cappella. Sessantadue anni, originario di Nurallao, dal 2013 è cappellano dell’ospedale San Giuseppe di Isili, uno di quegli avamposti dell’assistenza sanitaria territoriale che arranca, tenuta in vita da una truppa sguarnita di medici, infermieri e oss costretti a turni massacranti e a sacrifici non ripagati. Un ospedale con un pronto soccorso a mezzo servizio, l’Oncologia (piccola eccellenza che ha in cura seicento pazienti) e la dialisi al primo piano, la Chirurgia (fa gli interventi programmati) al secondo e il reparto di Medicina al terzo, con un day hospital sempre pieno che ieri, per dire, aveva in turno una sola infermiera.

Il camice bianco

Il presepe all’ingresso del reparto di Medicina è un attestato di speranza in un luogo che su venti posti letto ne conta sei occupati a tempo indeterminato. «Fino a pochi giorni fa ne avevamo otto, è arrivata sorella morte», dice don Antonello. Lui è la guida spirituale di pazienti e personale, un prete col camice bianco e il crocifisso appuntato sul bavero. «Qui ci sono pazienti con problemi di tipo psichiatrico che hanno bisogno di un’assistenza specifica, e altri, malati di non si sa cosa, forse solo di solitudine. Gli infermieri fanno l’impossibile, li vedo con quale amore e premura li assistono, ma si sentono impotenti e più di tanto non possono intervenire».

Il tour dell’abbandono

Quasi tutti, spiega il sacerdote, vengono spediti dal Santissima Trinità di Cagliari, primo punto di approdo del ricovero senza scadenza. «E di tanti non sappiamo niente, a parte che hanno una famiglia indifferente. Fa male vedere che nessuno viene a trovarli». Marco, Giuseppe, Luigi, Guglielmo e tanti altri, tutti quelli che per mesi occupano un letto, con un finale qualche volta lieto, si fa per dire. «A Salvatore, un quarantenne con problemi mentali originario di un paese del Parteolla, abbiamo trovato un posto in casa famiglia. Non aveva neppure i documenti, per lo Stato era un fantasma. Abbiamo risolto il problema con l’aiuto dei carabinieri».

L’umanità negata

Non sono solo uomini, gli abusivi del posto letto. «Abbiamo avuto anche donne, l’abbandono non guarda il genere». È l’indifferenza il male del nostro tempo, puntualizza don Antonello. «Un male che sta crescendo anche nella nostra realtà, nelle famiglie, nel vicinato. L’indifferenza che genera solitudine. Che, come diceva Papa Francesco, vuole togliere l’umanità alla persona abbandonata. La condanna a sentirsi un essere inutile». Uno sguardo al Gesù Bambino e l’auspicio che il nuovo anno porti pace e amore nel mondo e nelle famiglie. «Adesso mi scusi, vado ad ascoltare i pazienti».

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