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Teulada Villette vuote, infissi danneggiati dall’incuria e dall’abbandono, casermoni giganti con le fondamenta aggredite dall’umidità. E silenzio. Tanto silenzio. Nel residence fantasma a poche decine di metri dalla spiaggia di Tuerredda il tempo si è fermato. I turisti in questa collina disseminata di cemento non sono mai arrivati perché il cantiere è una grande incompiuta. I lavori nella zona di Malfatano sono stati bloccati al termine di un lungo contenzioso giudiziario che recentemente ha ispirato “La vita è così”, il film del regista Riccardo Milani che racconta la storia di Ovidio Marras – il pastore che viveva nel suo “furriadroxiu” a poca distanza dal residence – diventato un’icona dell’ambientalismo italiano dopo la lunga battaglia con la Sitas, la società che ha costruito il complesso turistico. Dietro quel progetto c’erano alcuni tra i più importanti gruppi imprenditoriali e finanziari italiani, come Caltagirone, Benetton, Monte dei Paschi di Siena.
Il “furriadroxiu”
Ovidio Marras è morto il 6 gennaio 2024 nella sua casa di Teulada. Aveva trascorso tutta la sua vita nel “furriadroxiu” a ridosso della spiaggia di Tuerredda. Davanti al casolare c’è un piccolo giardino. Tutto è in ordine. Ogni tanto ci vanno i parenti del pastore. Nei giorni scorsi è morta Giovannica, la sorella di Ovidio. Aveva 97 anni ed è stata testimone della lunga battaglia legale iniziata dopo la deviazione del tracciato di una stradina di proprietà della famiglia Marras.
Il contenzioso giudiziario si è concluso con la vittoria di Ovidio, sostenuto dagli ambientalisti, ma non dai suoi compaesani che costituirono un comitato “Pro Sitas”. Vedevano in quel progetto una prospettiva di sviluppo per il paese. «Quando sono iniziati i lavori nel 2009 – ricorda l’imprenditore Alberto Garau, uno dei fondatori del comitato – lavoravano 13 aziende del paese. In quel momento era un progetto di sviluppo concreto, ma sappiamo tutti come è andata a finire».Lo sanno bene anche gli ambientalisti, che si sono opposti al progetto.
Gli ambientalisti
«Una storia incredibile», commenta Maria Paola Morittu, presidente di Italia Nostra Sardegna, l’associazione che per prima ha denunciato quanto stava accadendo a Tuerredda: «Erano riusciti a ottenere tutte le autorizzazioni. Non c’era ancora il piano paesaggistico regionale. La Sitas suddivise il lotto in sub-comparti per eludere la valutazione di impatto ambientale, ma non servì. Fortunatamente si arrivò allo stop dei lavori. Il progetto prevedeva 140mila metri cubi. Ne è stata realizzata soltanto una parte. Sarebbe stato uno scempio. Lo è anche adesso con questi grandi casermoni di cemento. Dicevano che l’architettura era rispettosa dei luoghi, compatibile con l’ambiente. Niente di tutto questo, ovviamente. È un modello perdente. L’abbiamo sempre sostenuto. Non ci sono benefici. Al territorio restano solo le briciole. Per valorizzare questa zona servono interventi mirati. Bisogna recuperare le vecchie case tenendo conto dell’ambiente naturale». Per Stefano Deliperi del Gruppo di Intervento Giuridico si tratta di «pura speculazione edilizia. Non c’è alcun progetto di sviluppo turistico dietro questa operazione. Anche noi ci siamo opposti senza esitazione per fermare questo scempio».
Contenzioso infinito
La lunga battaglia legale, iniziata iniziata tanti anni fa, non si è conclusa nel 2016 con lo stop ai lavori e la vittoria di Ovidio Marras. L’ex Sitas (la società è fallita) chiede un risarcimento a Regione e Comune. Nel contenzioso l’ex Sitas è difesa dall’avvocato Enrico Salone, il Comune si avvale della tutela legale di Piero Franceschi. In passato erano state chieste anche delle perizie per stimare i danni e c’è stato inoltre un un tentativo di interlocuzione tra azienda, Regione e Comune, ma non è stato trovato alcun accordo.
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