Il suono dei bombardamenti, lo ricorda ancora. Non serve chiudere gli occhi: basta un rumore secco, un’eco improvvisa, per tornare a quel tratto di confine tra Libano e Israele, dove il silenzio può durare ore o finire in un istante. «Ci sono stati momenti difficili da gestire – racconta Fausto Putzu, 47 anni, di Quartu Sant’Elena, soldato del 151° reggimento della Brigata Sassari – ma è in quei momenti che capisci davvero cosa significa disciplina e coesione».
Effettivo alla Brigata da molti anni, Putzu ha partecipato a diverse missioni all’estero: Balcani, Afghanistan, Iraq, e due volte in Libano, prima nel 2017 e poi nel 2024, con la missione Unifil, acronimo di Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite. «L’anno scorso ero là, il 4 novembre, giornata Nazionale delle Forze Armate. È stata un’operazione complessa, in uno scenario segnato da scontri tra fazioni. Ma la risoluzione 1.701, che ci affidava il compito di supportare le forze locali e le comunità più fragili, è stata portata avanti con determinazione grazie all’addestramento».
Un’«àncora di salvezza», la definisce. «In contesti così delicati è ciò che ti permette di reagire, di continuare a fare il tuo dovere anche sotto pressione». Ricorda le basi presidiate lungo la Blue Line, le giornate scandite da allarmi e silenzi improvvisi, «e la consapevolezza che solo attraverso disciplina, coesione e sacrificio puoi andare avanti».
Nel giorno dell’Unità nazionale e delle Forze armate, Putzu parla di appartenenza: «Vestire questa uniforme è un onore e una responsabilità. Le mostrine che portiamo simboleggiano il sacrificio di chi ci ha preceduto: i nostri nonni, con la loro forza e il senso del gruppo. La Brigata Sassari è un’unità moderna, ma con un’anima antica».Un motto, più che una frase, racchiude tutto: Sa vida pro sa Patria. «Il militare sardo ha un’identità forte e radicata nella sua terra, ma sceglie di servire l’Italia. È questo che ci tiene uniti, ieri come oggi».
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