Ricerca coordinata dal National Institutes of Health

Semaglutide, rischi e benefici di una terapia che dura per anni 

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Negli Stati Uniti una vasta analisi coordinata dal National Institutes of Health e condotta da ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health ha acceso un nuovo faro sugli effetti dell’uso prolungato dei farmaci agonisti del GLP-1, oggi prescritti non solo per il diabete ma sempre più spesso per l’obesità. Lo studio, pubblicato su JAMA, ha seguito per diversi anni decine di migliaia di pazienti trattati con semaglutide e molecole affini, valutando benefici e possibili effetti collaterali a lungo termine. I risultati confermano una riduzione significativa del rischio cardiovascolare, con meno infarti e ictus rispetto ai gruppi di controllo, ma segnalano anche un aumento di eventi gastrointestinali persistenti e un lieve incremento di disturbi legati alla colecisti. Gli autori sottolineano che il profilo rischio-beneficio resta favorevole, soprattutto nei pazienti con obesità grave o diabete di tipo 2, ma invitano a superare l’idea del “farmaco risolutivo” e a integrare la terapia in percorsi strutturati di cambiamento dello stile di vita. La ricerca evidenzia anche un punto cruciale per i sistemi sanitari: la durata del trattamento. Molti pazienti tendono a riprendere peso dopo la sospensione, suggerendo che, per una parte della popolazione, questi farmaci potrebbero diventare terapie croniche. Per i clinici si apre quindi una fase nuova, in cui la gestione dell’obesità assomiglia sempre più a quella di altre malattie croniche, con benefici importanti ma anche costi economici e organizzativi da valutare con attenzione.

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