È stato tirato in ballo da Emanuele Ragnedda e per ore è rimasto dentro l’indagine sulla morte di Cinzia Pinna con un’accusa gravissima, quella di avere nascosto il corpo della vittima. Ma da ieri pomeriggio per il giovane lombardo (professione giardiniere, 26 anni) indagato dalla Procura di Tempio guidata da Gregorio Capasso, il quadro è radicalmente cambiato. Non solo non c’è alcuna prova del suo coinvolgimento nel delitto, ma lo stesso Ragnedda lo avrebbe scagionato dopo averlo indicato come complice. Una storia assurda e angosciante quella del manutentore, che da subito ha gridato la sua innocenza. L’incubo per il giovane lombardo è iniziato quando nella sua abitazione si sono presentati i Carabinieri con un mandato della pm Noemi Mancini, il ragazzo ha saputo così che stavano per essere messi sotto sequestro la sua auto e lo smartphone.
Gli investigatori hanno messo sotto torchio il giardiniere, Ragnedda avrebbe detto che il ragazzo aveva prelevato il corpo della vittima dallo stazzo di Conca Entosa per gettarlo poi in mare. Da qui la contestazione per il reato di occultamento di cadavere. Una situazione drammatica per una persona che, stando a quanto sta emergendo dagli atti, si è trovata improvvisamente e senza motivo catapultata in un omicidio. Il giovane si è difeso disperatamente: «Io non so chi sia questa ragazza, non sono mai stato nello stazzo di Ragnedda la sera dell’11 settembre, perché non sono uscito di casa e ho un alibi».
Ora il pool di avvocati che assiste il giovane (Antonello Desini, Maurizio e Nicoletta Mani) si aspetta l’apertura di un fascicolo per calunnia a carico di Emanuele Ragnedda.
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