Sant’Elia.

Pistola puntata alla testa dopo vent’anni di offese Padre e figlio ai domiciliari 

I due lasciano il carcere dopo l’arresto per la feroce aggressione davanti a un bar 

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Le provocazioni e le prevaricazioni andavano avanti da vent’anni. Dal giorno in cui, come Stefano Caredda ha raccontato alla giudice Claudia Falchi Delitalia nell’interrogatorio per la convalida degli arresti per lo sparo e le coltellate avvenute venerdì scorso in via Schiavazzi a Sant’Elia, il rivale Manolo De Agostini avrebbe tentato di entrare in casa sua con la forza, proseguendo negli atteggiamenti persecutori e con le offese.

Così la scorsa settimana, in un bar del rione, dopo aver subito degli insulti rivolti alla compagna e al figlio, ricevendo anche un pugno sul viso, Caredda ha perso il controllo: è andato a recuperare una pistola detenuta illegalmente, raggiungendo, con il figlio Alberto e un altro ragazzo, De Agostini in strada davanti al locale: gli avrebbe sparato un colpo a una gamba, puntandogli anche l’arma in testa per metter fine a vent’anni di provocazioni, aggredendo anche il nipote Daniel con l’aiuto dei due giovani che impugnavano un coltello e una katana.

Le indagini

Padre e figlio, così come il minorenne, hanno poi collaborato con i poliziotti: dopo la convalida, Stefano (50 anni) e Alberto Caredda (28), difesi dall’avvocato Marco Fausto Piras, hanno ottenuto gli arresti domiciliari in un Comune diverso da quello di Cagliari. Dunque nonostante la giudice ritenga che padre e figlio, se lasciati liberi, possano reiterare la commissione di reati simili, soprattutto verso De Agostini, ha ritenuto che la misura dei domiciliari in casa di una conoscente, incensurata ed estranea alla vicenda, ben distante dal quartiere di Sant’Elia, è proporzionata all’entità dei fatti. Anche perché Stefano Caredda, una volta saputo che gli investigatori della Squadra Mobile stavano cercando lui, il figlio e il terzo ragazzo minorenne, si è subito consegnato ai poliziotti, facendo anche ritrovare la pistola, un revolver con matricola abrasa. E ha poi fatto da intermediario, convincendo il figlio e il giovane amico a presentarsi in Questura. Tutte le ricostruzioni, da parte dei tre (sotto l’assistenza del legale Marco Fausto Piras) sono state chiare, senza contraddizioni e hanno trovato conferma nelle immagini dei sistemi di video sorveglianza e nelle altre testimonianze.

Le vittime

I tre sono accusati di detenzione di arma clandestina e porto di oggetti atti a offendere (coltello e katana), lesioni personali gravi. Perché fortunatamente le due vittime, dopo i soccorsi e il ricovero in ospedale, hanno riportato una prognosi di 30 e 21 giorni.

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