La lectio magistralis.

Perché il Ministero della Cultura racconta la storia del nostro Paese 

Per i “Dialoghi” curati da Maria Antonietta Mongiu e Francesco Muscolino 

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È trascorso mezzo secolo da quando è nato il Ministero della Cultura e uno sguardo indietro è utile per misurare la strada percorsa. A tracciare una sintesi dei passi compiuti, oggi alle 18, nell’Ex Regio Museo di Cagliari, ci proverà la giurista Alessandra Di Legge, ospite dell’appuntamento settimanale dei Dialoghi di archeologia architettura arte e paesaggio, organizzati dai Musei nazionali e curati da Maria Antonietta Mongiu e Francesco Muscolino. La funzionaria del Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi di Palazzo Chigi terrà la lectio “Cultura e Beni culturali nell’Italia contemporanea“, per riflettere su come, nel secondo dopoguerra, la Repubblica italiana abbia costruito la propria idea di patrimonio culturale. «Non si tratta solo di una narrazione di leggi e decreti» osserva Di Legge, «ma di un percorso che intreccia le vicende del Paese con il senso stesso di identità e appartenenza, costruito anche attraverso il recupero e la valorizzazione dei suoi beni monumentali».

Il 14 dicembre 1974, data della nascita del Ministero per i Beni culturali e ambientali, oggi Ministero della Cultura, segna una svolta. Allora, era presidente del Consiglio Aldo Moro, tra gli estensori, con Concetto Marchesi, dell’articolo 9 della Costituzione, quello che sancisce la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione. «Non è un caso» secondo Mongiu, «che sia stato proprio lui a promuovere la creazione del dicastero: un atto coerente con la visione costituzionale di una Repubblica fondata anche sulla cultura».

Quel decreto-legge, ratificato in Parlamento sessanta giorni dopo, rispondeva all’urgenza di porre rimedio ai danni che la ricostruzione e la speculazione edilizie avevano inflitto al patrimonio architettonico e paesaggistico italiano. Nel clima di quegli anni, voci autorevoli come Don Milani, Pier Paolo Pasolini, Antonio Cederna, Giulia Maria Crespi e Ranuccio Bianchi Bandinelli, insieme, in Sardegna, con Antonio Romagnino e Giovanni Lilliu, richiamavano con forza la necessità di rendere effettivo l’articolo 9.

Per la guida del nuovo dicastero, Moro scelse Giovanni Spadolini, storico, giornalista e già direttore del Corriere della Sera. Spadolini concepì il Ministero non come un apparato burocratico, ma come uno “strumento di unificazione di competenze diverse e di semplificazione”. Rafforzò le Soprintendenze, valorizzò i musei, assunse custodi e funzionari, avviando una vera rinascita culturale. «Ho preso in mano il patrimonio culturale dopo Caporetto», dichiarò nel 1976, «oggi non si può ancora dire di aver raggiunto Vittorio Veneto, ma almeno la resistenza sul Piave è consolidata».

Da allora, il cammino non si è fermato. Nel 2004 è stato varato il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, mentre nel 2014 sono stati istituiti i musei autonomi con una riforma che ha attribuito maggiore autonomia gestionale ai principali complessi museali italiani, tra cui, dal 2019, anche i Musei Nazionali di Cagliari.

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