La mossa di Trump è spiazzante, ma per Giorgia Meloni la partita non va ancora considerata chiusa. Ci sono i margini, è la sua convinzione, per «un accordo equo». Ben diverso dai dazi al 30% indicati nella lettera del presidente Usa a Ursula von der Leyen. Potrebbe essere anche solo «una prova di forza» di Washington, un modo per mettere pressione a meno di tre settimane dalla scadenza del negoziato, si ragiona ai piani alti del governo, e per questo dal punto di vista di Roma si profilano «19 lunghi giorni» in cui è necessario mantenere freddezza. Bisogna «evitare polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa», è la linea di Palazzo Chigi. Ma le opposizioni attaccano l’attendismo dell’esecutivo, con Elly Schlein che denuncia la «follia autarchica» americana e Giuseppe Conte che accusa la premier di «svendere l’interesse nazionale» con «una trattativa assurda, da dilettanti».
Il comunicato di Palazzo Chigi ha toni più simili a quelli usati da Berlino che a quelli di Parigi: «Confidiamo nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso, atteso che - particolarmente nello scenario attuale - non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico». Nessun accenno alle contromisure citate da von der Leyen ed Emmanuel Macron. Il 30% minacciato da Trump è ben lontano dal 10% che in queste settimane più esponenti di governo hanno indicato come accettabile. La linea italiana resta evitare il muro contro muro.Anche perché, per dirla col presidente di Confindustria Emanuele Orsini, la lettera di Trump contiene «una sgradevole volontà di trattare». Così Palazzo Chigi «continua a seguire con grande attenzione lo sviluppo dei negoziati in corso», e sostiene «pienamente gli sforzi della Commissione europea che verranno intensificati ulteriormente nei prossimi giorni». Il dossier sarà affrontato nella missione a Washington del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che martedì avrà vari incontri, a partire da quello con il segretario di Stato Usa Marco Rubio. Ma nel governo c’è chi punta l’indice contro Bruxelles. «Trump non ha motivi per prendersela col nostro Paese, ma ancora una volta paghiamo il prezzo di un’Europa a trazione tedesca», è la reazione della Lega, convinta che «anziché minacciare ritorsioni che Oltreoceano potrebbero solo far sorridere», è tempo che «la tedesca von der Leyen azzeri l’eccesso di burocrazia Ue che è il vero dazio che pagano le nostre imprese».
E se Schlein esorta Meloni a «una presa di posizione netta e forte, che fin qui non c’è stata: non è che per le loro amicizie politiche possono danneggiare l’interesse nazionale e l’interesse europeo», per Conte «Italia e Europa non si sono fatte rispettare», mentre dovevano «mostrare la schiena dritta». Matteo Renzi (Iv) si augura che «gli imprenditori di questo Paese si sveglino dalla cotta che hanno preso per un governo incapace e ininfluente». Anche Carlo Calenda (Azione) stigmatizza «la strategia di strisciar e ai piedi di Trump», mentre per Avs Nicola Fratoianni sostiene che a un Trunmp che fa «il gangster» l’Ue deve «rispondere subito con decisione, soprattutto sulle big tech».
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