Roma. Gli appelli alla via diplomatica e negoziale cadono mentre arrivano, sempre più preoccupanti, le conferme di attacchi iraniani alle basi americane in Medio Oriente. Guido Crosetto, che pure è rimasto tutto il pomeriggio di ieri, lascia la Camera quasi di corsa dopo la replica. Giorgia Meloni entra ed esce dall’Aula sempre più scura in volto, dopo avere ribadito le priorità italiane sulla crisi, come il sostegno a Kiev, il cessate il fuoco a Gaza, il ritorno a un tavolo di negoziato dell’Iran. E dopo avere confermato l’impegno a raggiungere i nuovi target Nato delle spese militari (il 3,5% per la difesa e l’1,5% per la sicurezza) perché, scandisce, «non lasceremo l’Italia esposta, debole e incapace di difendersi». Il momento è grave, la premier apre il suo intervento in vista del prossimo Consiglio europeo dicendo di volersi tenere lontana dalle «polemiche» e tendendo una mano alle opposizioni, assicurando di voler tenere aperto e di «ampliare» un canale di dialogo riallacciato con Elly Schlein proprio dopo gli attacchi Usa all’Iran. Attacchi che, dice Meloni ai deputati, hanno «aggravato la crisi che coinvolge» Teheran e Israele.
Le basi italiane
Non solo, mentre ribadisce con forza che l’Italia finora non è stata coinvolta assicura inoltre: se mai dovesse arrivare una richiesta dall’alleato statunitense, l’utilizzo delle basi italiane per interventi in Iran passerebbe comunque per il vaglio delle Camere. Al momento si tratta di un periodo totalmente ipotetico, sottolinea la premier, perché «l’Italia non è impegnata militarmente» e «non è stato chiesto l’uso delle basi. Posso dire - aggiunge - che penso che non accadrà ma posso garantire che una decisione del genere dovrà fare un passaggio parlamentare, a differenza di quello che è accaduto quando al governo non c’eravamo noi».
Le opposizioni
Una risposta che non basta alle opposizioni, che chiedono, Schlein e Giuseppe Conte in testa, una parola «chiara» sul fatto che l’Italia «non entrerà in questa guerra». Non basta ai dem nemmeno la presa di posizione sull’azione di Israele a Gaza, che per la premier sta «assumendo forme drammatiche e inaccettabili». I cittadini sono «preoccupati», i toni da «campagna elettorale» vanno lasciati da parte, insiste Meloni nella replica in cui alza la voce solo nel passaggio in cui respinge la tesi di un’Italia «subalterna» agli Stati Uniti e rivendica di essere già «leader di una nazione che conta, non perché io conto - dice - ma perché sono presidente del Consiglio di una nazione che si chiama Italia». Risponde piccata anche a chi la accusa di non avere citato né Donald Trump né Benjamin Netanyahu («non ho nessun problema a farlo») ma non si lascia andare ad affondi pesanti, come è successo in altre occasioni, nei confronti delle opposizioni. Non attacca frontalmente neanche il Movimento 5 Stelle che presenta una risoluzione che non esclude la ripresa della collaborazione con la Russia sul gas. Azione incassa il parere favorevole del governo ad alcuni impegni della sua risoluzione come quello di rilanciare il negoziato con l’Iran che, per la premier, è uno dei punti in cui in Parlamento si registra una sostanziale «convergenza».
Le spese militari
Resta tutta la distanza, invece, sulle spese militari, che certo non entusiasmano la Lega (in Aula c’è Salvini ma non sempre i deputati, che quando scatta la standing ovation sull’Italia «che conta» applaudono ma non si alzano). Meloni si lancia in una citazione di Margaret Thatcher per argomentare la scelta di aderire al nuovo obiettivo Nato, dopo una trattativa che ha portato ad esempio ad allungare al 2035 i tempi. Gli impegni peraltro, risponde a chi le chiede perché non abbia fatto come Pedro Sanchez, «sono uguali per tutti, non c’è alcuna differenza tra quelli assunti dall’Italia e dalla Spagna». L’importante è che siano target «chiari, trasparenti e sostenibili», un messaggio che la premier manda anche a Bruxelles, insistendo, come aveva fatto nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sull’esigenza di rendere il Patto di stabilità «compatibile» con l’aumento delle spese per la difesa, senza creare «disparità di trattamento» per quei paesi, come l’Italia, in procedura per deficit eccessivo.
L’Unione europea
Intanto, al tavolo dei 27 ministri degli Esteri il conflitto è piombato come un macigno. A Bruxelles nessuno mette in dubbio il sostegno a Israele e il fatto che Teheran non debba «mai» avere l’atomica. Ma, al di là di questi due punti, la linea europea sembra divergere sia da quella di Donald Trump sia da quella di Benjamin Netanyahu. L’Ue chiede infatti il ritorno immediato ai tavoli negoziati e si schiera contro «un cambio di regime messo in atto con la forza». Il richiamo alla diplomazia giunto più o meno all’unisono appare ancora flebile rispetto all’infittirsi dei raid in Medio Oriente. Eppure, Bruxelles continua a respingere la linea dura. «Bisogna ridurre al minimo il rischio di una escalation», ha sentenziato l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Ue Kaja Kallas prima di sedersi al Consiglio Affari Esteri.
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