«Le strade devono essere più intelligenti delle nostre distrazioni». Dopo un mese in cui si è fermato il tempo, il silenzio è calato sulla sua comunità, il dolore ha trafitto la spensieratezza dei suoi 29 anni, Antonella Soddu, un anno fa, ha preso il coraggio a due mani, si è guardata dentro e soprattutto ha pensato di dare una mano a chi stava combattendo una battaglia nella quale, da quel momento, si è sentita pienamente coinvolta. Michele, suo fratello, aveva vent’anni. Lavorava nel caseificio di Fonni. Il 30 ottobre del 2024, dopo aver terminato di lavorare, aveva deciso di fare un giro con altri tre amici. Il volo dell’auto oltre la cunetta ha stroncato sogni, sorrisi e voglia di vivere. «E il tempo si è fermato», racconta Antonella, pedagogista in un centro specializzato di Nuoro dove aiuta i bambini a trovare la loro strada nella scuola e nello studio.
Lei ogni giorno raggiunge in auto il posto di lavoro, a Nuoro, percorrendo strade molto simili a quella teatro dell’incidente.
«Sì e ogni giorno penso a quanto sia pericolosa la statale 389. Vicino al bivio per Nuoro, in prossimità del distributore di carburante, si sono verificati tanti incidenti».
Come cambia la vita dopo una tragedia come quella che avete vissuto lei, la sua famiglia e la comunità di Fonni?
«La vita non è più la stessa. La mia famiglia mi aiuta ed è d’accordo perché io, con la mia testimonianza, contribuisca a portare avanti una narrazione differente del problema degli incidenti stradali».
Come è arrivata a maturare questa idea?
«Dopo un mese dalla tragedia di Michele, ho scritto a Giovanni Pintor, che ha vissuto la stessa tragedia e, insieme ad altri amici e coetanei, ha dato vita all’associazione “Adesso basta”. Ho intercettato sui social la loro attività e ho pensato: voglio aiutarli. Ho preparato un video per le loro pagine social e ne ho fatto un altro di recente, passato un anno».
Lei si rivolge soprattutto ai più giovani?
«I giovani rappresentano i fiori da coltivare. Se un piccolo seme cresce e germoglia, creando una consapevolezza diversa, un risultato è già stato raggiunto. Abbiamo l’abitudine di dare la colpa a un singolo, ma non si può lasciare la vita in mano esclusivamente alla consapevolezza dei ventenni. Con questa differente narrazione, i ragazzi ci ascoltano, la loro attenzione resta viva sul problema».
In questo caso il messaggio però è diretto soprattutto a chi ha responsabilità politiche e amministrative.
«Chi progetta una strada deve fare in modo che l’errore umano non diventi fatale. Sa che la nostra regione è quella con più sinistri che provocano vittime? Su 3000 incidenti l’anno, nel 2023 i morti sono stati 111. Le strade devono essere più intelligenti delle nostre distrazioni. Penso a Michele e ai suoi amici. Loro avevano scelto di restare a Fonni e hanno dato tanto alla nostra comunità e noi non abbiamo dato loro la possibilità di sbagliare. Peraltro, per noi, utilizzare l’auto non è una scelta, ma è un obbligo: per andare a scuola dobbiamo viaggiare, per lavorare dobbiamo viaggiare, per qualsiasi cosa bisogna mettersi in macchina».
Lo scorso anno, durante i funerali, c’era un silenzio che penetrava le coscienze. Dopo un anno quel silenzio si sente ancora?
«Non potrò mai dimenticare la vicinanza della comunità e forse non è ancora tangibile, ma credo che qualche piccolo seme germogli tra i ragazzi del nostro paese. Oggi magari un giovane pensa a ciò che diciamo quando si mette in auto. Le strade che abbiamo però sono sempre pericolose. In un anno nulla è cambiato sulla provinciale 69, il guardrail non c’è ancora».
Insomma, ci si dimentica in fretta, mentre le famiglie continuano a vivere nel dolore di non poter fare qualcosa?
«Non si mettono in campo politiche che possano salvare le vite umane. Non esiste un Osservatorio, che magari fornisca dati per comprendere dove intervenire. Neanche davanti alle tragedie le cose cambiano».
E la sua comunità vuole cambiare?
«C’è voluto tempo perché la comunità si riprendesse, per rimettere in piedi ogni cosa. La scritta “Sempre con noi” ci accompagna dappertutto, è presente ovunque. Oggi, facciamo le cose con animo diverso, ma Michele, Michele, Lorenzo e Marco non avrebbero mai sopportato che la rassegnazione bloccasse il nostro paese, la nostra comunità. Certamente, ora, servono fatti, non è più possibile leggere queste tragiche notizie. Bisogna cambiare narrazione e raccontare che un errore non deve costare la vita».
Soprattutto se si hanno vent’anni.
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