Il messaggio.

L’Angelus di Leone: «Chi crede nella pace viene ridicolizzato» 

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CITTà DEL VATICANO. «Chi oggi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire avversari e nemici». È netto all’Angelus di Santo Stefano, quando si fa memoria del primo martire della Chiesa, papa Leone.

Dopo due giorni di appelli alla pace e ad ascoltare il grido dell’umanità provata, dalle tende di Gaza ai fronti di guerra, papa Prevost si fa sentire anche contro chi vuole tacitare le voci che invocano pace e disarmo. «Stefano morì perdonando, come Gesù: per una forza più vera di quella delle armi». Non può non esserci un riferimento implicito anche ai fatti della notte di Natale in Nigeria, coi raid di Trump che hanno preso di mira gli affiliati dell’Isis responsabili di massacri di cristiani.

Il messaggio

«L’esempio di mitezza, di coraggio e di perdono di Santo Stefano», avverte Prevost parlando a braccio alla piazza dei fedeli, «accompagni quanti si impegnano nelle situazioni di conflitto per promuovere il dialogo, la riconciliazione e la pace». La memoria del protomartire Stefano è da sempre momento di vicinanza della Chiesa ai cristiani perseguitati nelle varie parti del mondo ma Leone, invitando a sostenere «le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza», ribadisce anche che «il cristiano non ha nemici, ma fratelli e sorelle, che rimangono tali anche quando non ci si comprende».

Insomma, alla violenza non si risponde con la violenza. Richiamo che fa eco alle parole del Pontefice dalla notte di Natale fino alla tradizionale benedizione Urbi et orbi del 25 dal Loggione centrale della basilica di San Pietro, quando ha ripreso una vecchia tradizione dei Papi pronunciando gli auguri in dieci diverse lingue tra cui cinese, arabo e latino.

La speranza

Nella messa della notte, Leone ha spiegato di pensare «alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente». All’Urbi et orbi nel momento più solenne del Natale, Prevost si è rivolto al continente europeo, affinché continui a «spirarvi uno spirito comunitario, fedele alle sue radici cristiane», mentre per il «martoriato popolo ucraino» ha invocato lo stop del «fragore delle armi».

Il Papa ha toccato i conflitti dimenticati in ogni angolo del pianeta, gli sfollati, i migranti, chi non ha lavoro o è sottopagato o ha perso tutto «come a Gaza». Consacrando il suo primo Natale da Pontefice alla pace, Leone ha scelto di citare il poeta israeliano Yehuda Amichai, perché questa arrivi finalmente «all’improvviso come un fiore selvatico».

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