Alla morte c’è rimedio se si salva una vita. E a maggior ragione serve farlo quando l’esistenza appartiene a un giovane il cui futuro potrebbe essere spezzato da un incidente in auto. «La vita è una - sintetizza il comandante della polizia stradale di Sassari, Inti Piras - e non ammette replay». Lo ha scandito ieri, nell’Aula Segni della facoltà di Giurisprudenza, davanti a una platea di giovani che frequentano la quarta e la quinta superiore di alcune scuole cittadine. Si tratta di una delle tappe del tour legato alla Giornata delle Vittime della Strada, una ricorrenza che ogni anno raccoglie sempre più croci da ricordare. «Al momento sono 90 i morti del 2025 nell’isola. Tanti purtroppo tra i 18 e i 30 anni».
Responsabilità
La causa dei decessi viene fatta risalire con frequenza alla distrazione da smartphone e all’alta velocità, o al consumo di alcol e sostanze stupefacenti. «Noi vogliamo trasmettere ai ragazzi - continua Piras - l’importanza di una guida sicura, di rispettare le norme della strada e di essere responsabili». Sia con il volante in mano che quando si sta in auto da passeggeri. E sono tanti i ragazzi che perdono la vita proprio accanto al conducente, o nei sedili posteriori, schiacciati da improvvisi ribaltamenti, uscite di strada, schianti. Sequenze ed esiti che non vengono lasciati all’immaginazione ma fatti vedere ai 17-18enni presenti in video espliciti, ripresi durante il lavoro della Stradale proprio in Sardegna. Autovetture distrutte, guardrail piegati, corpi distesi sull’asfalto in un impasto di vetri, lamiere, sangue che lascia ammutoliti. «È uno degli aspetti più crudi del nostro mestiere, che ci fa riflettere e anche soffrire». Dove non è possibile vedere dall’esterno la tragedia perché sono gli stessi agenti a dover comunicare a genitori, mogli, mariti, parenti la scomparsa dei familiari, utilizzando il protocollo “Chirone” che delinea le modalità con cui dare un’informazione che devasterà le esistenze di chi sopravviverà ai propri cari.
Le testimonianze
«Quando ti muore un figlio ti salta la vita», spiegano Omar Zaher e sua moglie Merita, la cui figlia, Najibe, è morta 19enne nel 2023, insieme ad altri tre giovani in viale Marconi a Cagliari. Per la coppia sensibilizzare sul tema è diventata una missione. «Nonostante la sofferenza che stiamo passando, ci teniamo che nessun genitore abbia il nostro dolore». Parole che riecheggiano nelle testimonianze video di altri “orfani” dei figli, un tormento contenuto ma che segna i volti e le frasi. Come per il padre di Margherita che ha vissuto il dramma, oltretutto essendo un agente proprio della Stradale. «Mia figlia è stata travolta sulle strisce pedonali. È uno strazio la sua perdita e la divisa non ha potuto proteggermi», dice con le lacrime agli occhi. In tutti loro non esiste il rancore. «Non proviamo rabbia verso il ragazzo che guidava - riferisce Merita - anzi talvolta sentiamo i suoi genitori e ci consoliamo a vicenda». Il messaggio tocca con forza i teenager che assistono in aula. «Quando apprendono che è morto di incidente un loro coetaneo - afferma Francesca Profili, dirigente dell’Istituto Europa - lo vivono come un trauma». Choc che condiziona però le loro vite in meglio. «Quelli che conosco io non guidano avendo bevuto, si organizzano con navette, taxi oppure lasciano al volante chi è sobrio». Segnali che lasciano sperare che i ragazzi, davanti al rischio di morire in auto, scelgano di premere il tasto stop e fermarsi prima.
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