Contrari.

«La sanità ha problemi più gravi» 

Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp

Una carriera lunga oltre 41 anni, molti dei quali trascorsi nelle affollate corsie dell’Ospedale Brotzu di Cagliari come primario di Rianimazione, ma anche nel camice di medico volontario nei Paesi più disastrati del mondo, dall’Africa al Medio Oriente, dove ha visto in faccia la morte altrui, comprendendo così a pieno il valore della vita.

«La stessa vita a cui oggi si vuole rinunciare per legge», dice Alessandra Napoleone, dottoressa cagliaritana in pensione che dall’alto della sua esperienza assiste con amarezza allo scontro politico in Consiglio regionale per la legge sul Fine vita.

È quindi contraria?

«Sono un medico, ma sono anche cattolica e praticante. Non posso che oppormi a questo provvedimento. Ma mi sorprende anche che coi tanti problemi che ha la sanità sarda, ci si voglia concentrare su un problema che ha già delle soluzioni previste dalla legge».

A cosa si riferisce?

«Le disposizioni anticipate di trattamento, conosciute anche come testamento biologico, definiscono già la possibilità di non essere rianimati in casi estremi. Per i malati terminali abbiamo invece hospice attrezzati per garantire la minima sofferenza nell’ultima parte della vita. Insomma, le alternative ci sono da tempo. E le urgenze sarebbero altre».

Quali?

«Nell’Isola ci sono malati gravi di tumore all’intestino che devono aspettare anni per una colonscopia che salverebbe loro la vita. Ma chi ci governa pensa invece sia più importante decidere su come morire».

Non le sembra una questione importante?

«Conosco il tema molto bene. Ho visto la morte in faccia tante volte. Quella dei poveri bambini che in Sudan o in Palestina non sopravvivono alle bombe e ai massacri. Persone che hanno fatto centinaia di chilometri per arrivare all’ospedale più vicino e tentare il tutto per tutto per sopravvivere. Ecco perché questo dibattito sul fine vita mi sembra così “occidentale”, forse da privilegiati».

Crede che i fronti opposti siano inconciliabili?

«No, non deve essere una battaglia tra religione e scienza. Credo invece ci possa essere una naturale convergenza su un punto che non può essere manipolato o frainteso: il rispetto della vita. Un diritto imprescindibile per chiunque».

RIPRODUZIONE RISERVATA

Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati

Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.

• Accedi agli articoli premium

• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi

Sei già abbonato?