Da molti anni Fausto Mura, imprenditore, presidente di Federalberghi Sud Sardegna, è una delle più forti voci contrarie alla privatizzazione dell’aeroporto di Elmas (e alla fusione con quelli di Olbia e Alghero), «un’operazione fuori da ogni logica, un vero e proprio suicidio».
Ci tentano da un bel po’.
«Sì, intanto in F2i Ligantia, che vuole prendere anche lo scalo di Cagliari, è arrivato BlackRock, il più grande fondo speculativo al mondo. Significa che corriamo il serio rischio di avere un aeroporto (e un monopolio nell’Isola), gestito con un solo fine, quello di lucro».
Cagliari-Elmas è l’unica porta d’ingresso e d’uscita del sud dell’Isola.
«Per oltre un milione di persone. Mentre al nord hanno cinque punti – gli aeroporti di Alghero e di Olbia e i porti di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres – noi ne abbiamo solo uno, perché il porto di via Roma ha appena il 5% del traffico passeggeri regionale. Insomma, l’aeroporto di Cagliari è un cordone ombelicale fondamentale col resto del mondo, da qui transitano i sardi, i turisti, le idee, con i professori universitari e i ricercatori che arrivano da fuori. Regalare tutto questo a un fondo speculativo è follia pura».
Una “follia” bocciata anche da una serie di autorevolissimi enti.
«La Corte dei conti, ad esempio, ha chiaramente determinato quali sono i compiti della Camera di commercio, che possiede il 94,7% della Sogaer, e tra questi non c’è ovviamente la cessione delle azioni della società di gestione dell’aeroporto a un fondo speculativo. Al contrario, lo scopo dell’ente pubblico è quello di fare da volano per lo sviluppo delle imprese di Cagliari e Oristano, e lo scalo deve avere anche questa essenziale funzione. Poi ci sono l’Anac (l’Anticorruzione) e l’Enac (che guida l’aviazione civile), che hanno detto che in Sardegna non ci può essere un monopolio privato sugli aeroporti».
Un’inchiesta del Corriere della Sera riporta che nel 2024 il mercato dei voli aerei nell’Isola ha fatto circa un miliardo di euro di ricavi e oltre 200 milioni di utili netti.
«Aggiungo che l’aeroporto di Cagliari è una “gallina dalle uova d’oro”, ha un bilancio con una patrimonializzazione solidissima, è una delle rarissime aziende che fa un utile netto pari a 30% del fatturato».
Di quali cifre si parla per la cessione?
«Ecco, anche questa è una cosa oscura, in qualche stanza buia si sta giocando con il futuro dei sardi e del trasporto in Sardegna, senza che si sappia quanto, come, con quali patti parasociali. Tutto ciò è assolutamente fuori da ogni contesto democratico. La cessione del maggior aeroporto di un’Isola meriterebbe quanto meno un dibattito pubblico aperto a tutti gli stakeholders, non riunioni segrete».
E la Regione che fa?
«La Regione sta facendo il pesce in barile. Mentre si stanno asfaltando i diritti dei sardi, fa finta di niente. I casi sono due: fa un investimento concreto ed entra nel capitale azionario con la maggioranza, o almeno una quota del 40%, che le consenta di determinare in parte gli amministratori e la politica aziendale; oppure è inutile che butti via i 30 milioni che ha stanziato, una cifra minima, con cui non sarebbe neppure in grado di nominare un componente del cda. Il problema è che non prende una posizione chiara, cosa che invece la precedente amministrazione aveva fatto, dicendo “no”».
Ci sono situazioni simili in altre regioni d’Italia o d’Europa?
«Le analogie si possono fare solo tra isole, come la Corsica, Malta, le Baleari, le Canarie, e nessuna di queste è stata così incauta da dare gli aeroporti ad un’unica società con scopo di lucro. Loro si tengono stretti i loro aeroporti e hanno solidificato le loro posizioni. Perché gli aeroporti di un’isola non sono come quelli del continente, sono le nostre arterie vitali. Davanti a un’ipotesi come quella che stiamo rischiando noi, altrove ci sarebbe la gente con i forconi nelle strade per impedirla».
C’è chi sostiene che F2i sa gestire bene gli aeroporti, a Milano Linate e Malpensa, poi Napoli, Torino, Trieste, e altri.
«Io dico che probabilmente i finlandesi gestirebbero meglio i boschi della Sardegna, i tedeschi le spiagge e le strade, gli svizzeri gli alberghi, i francesi le vigne e i ristoranti, i giapponesi le ferrovie. Ma non sarebbero più i nostri boschi, le nostre spiagge, i nostri hotel, le nostre attività, il nostro patrimonio e la nostra ricchezza».
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