Da martedì la bandiera palestinese non campeggia più sulla facciata del Municipio di Guspini. Su disposizione del prefetto il vessillo è stato rimosso, alimentando tensioni nella maggioranza che, poche settimane fa, aveva approvato l’ordine del giorno che ne autorizzava l’esposizione in via Don Minzoni. Un gesto volutamente simbolico, spiegavano i promotori, per esprimere solidarietà a un popolo coinvolto in un conflitto che continua a colpire la popolazione civile.
La protesta
A denunciare la vicenda è il consigliere Filippo Usai, primo firmatario dell’atto votato in Consiglio. «L’esposizione della bandiera è stato un gesto di umanità e responsabilità morale», afferma. «Trovo grave che un simbolo di pace venga censurato: significa ignorare il dolore dei civili e trasformare un atto di vicinanza in un pretesto per silenziare il dibattito politico. Le bandiere si rimuovono, ma la posizione del Comune deve rimanere chiara». Secondo quanto riferito dai membri della maggioranza, il sindaco Giuseppe De Fanti avrebbe comunicato, durante una riunione interna, di essere stato convocato dal prefetto in seguito a un esposto presentato da un cittadino. La richiesta sarebbe stata perentoria: rimuovere immediatamente il vessillo e impedirne l’esposizione in tutte le sedi comunali. Il primo cittadino ha preferito non commentare, mentre l’assessora alla Cultura Francesca Tuveri sottolinea come «la discussione in Consiglio avesse già mostrato una frattura politica evidente. Le posizioni riflettono valori e sensibilità molto diverse».
Il dibattito
Durante la seduta consiliare, il capogruppo di minoranza Marcello Pistis aveva contestato l’idea di esporre una bandiera straniera in Municipio. La consigliera Simona Cogoni aveva proposto invece un approccio “paritario”: esporre sia la bandiera palestinese che quella israeliana. «Esiste una distinzione tra popoli e Stati» aveva detto. «Entrambi vivono un dramma e devono essere protetti». Tuveri però insiste: «Non sarà un esposto a impedirci di schierarci dalla parte dei diritti umani. Chi è cresciuto con le parole di Anna Frank e Primo Levi conosce il significato del “mai più”».
L’opposizione
La minoranza, per voce della stessa Cogoni, adotta un tono più istituzionale: «La decisione del prefetto è inattaccabile sul piano normativo. Pur senza entrare nel merito giuridico, dispiace che un’iniziativa nata per promuovere la pace finisca per alimentare divisioni. Il nostro compito resta quello di lavorare per una pace autentica e inclusiva». Intanto, la rimozione del vessillo è stata commentata anche da Fawzi Ismail, presidente dell’associazione Amicizia Sardegna–Palestina. «Questa non è la bandiera di uno Stato, ma di un popolo sotto attacco. Nel municipio di Cagliari è ancora presente. Continueremo a manifestare per smascherare chi nega l’evidenza della tragedia in corso». Duro anche il commento di Francesco Marras, del gruppo “Guspini per Gaza”: «Se confermata, la richiesta del prefetto sarebbe gravissima. Perché calpesterebbe le autonomie locali sancite anche dal Dpr 121. L’esposizione non è stato un gesto improvvisato, ma il risultato di una delibera consiliare». Il nodo resta normativo e politico. Eppure non mancano precedenti. Nei Comuni vicini, come San Gavino, la bandiera ucraina ha sventolato per oltre un anno. E nei mesi scorsi, in Emilia-Romagna, diversi sindaci si sono opposti a richieste di rimozione del vessillo palestinese.
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