MILANO. Ventiquattro anni di carcere. È la pena stabilita in appello per Alessia Pifferi, che in primo grado, invece, era stata condannata all'ergastolo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di meno di un anno e mezzo. Alleggerendo di molto la pena inflitta nel maggio 2024, i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Milano hanno concesso alla donna le attenuanti generiche equivalenti all'unica aggravante riconosciuta, ossia quella del vincolo di parentela. Nel processo di secondo grado è caduta, infatti, quella dei futili motivi che, insieme all'esclusione delle attenuanti, le era costata la condanna alla pena massima in primo grado. «Sono mamma, è mia figlia pure lei. Non me la sento di commentare», ha detto Maria Assandri, madre di Pifferi, al termine dell'udienza. Per la sorella Viviana, anche lei parte civile, però, «non è stata fatta giustizia». Alle domande dei cronisti fuori dall'aula ha risposto: «Ventiquattro anni per una cosa così orrenda... Ventiquattro anni è il valore di una bambina di 18 mesi che non c'è più. L'ha lasciata sola a morire mentre lei andava a divertirsi…». Anche nella seconda perizia psichiatrica disposta dalla Corte, Pifferi è stata ritenuta capace di intendere e volere e i giudici non hanno riconosciuto alcun vizio di mente. Sulla concessione delle attenuanti, però, potrebbero aver influito proprio alcune valutazioni dei periti. Lo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, la neuropsicologa Nadia Bolognini e il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni hanno riscontrato, infatti, che la 40enne è affetta da un «disturbo del neurosviluppo» che comporta «immaturità affettiva», anche se non invalidante sul «funzionamento psicosociale» e che non ha inciso sulla capacità. Un quadro su cui ha cercato di fare leva la difesa, con la legale Alessia Pontenani, chiedendo che le venisse comunque riconosciuto il vizio parziale di mente o che il reato venisse derubricato in morte come conseguenza di abbandono di minore.
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