L’intervista

«Il sacerdozio? Un dono e un mistero» 

Monsignor Tonino Cabizzosu ripercorre i suoi cinquant’anni intensi di missione pastorale 

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Parroco e storico della chiesa, nel solco di padre Giacomo Martina, Gabriele De Rosa e don Giuseppe De Luca. Il prete-professore lo ha definito lo studioso Gianfranco Murtas. Tonino Cabizzosu, classe 1950, nato a Illorai, festeggia in questi giorni i cinquant’anni di sacerdozio. «Vivo questo momento - ci dice - con intensità interiore, in spirito di preghiera e di gratitudine. Il sacerdozio ministeriale ha due aspetti complementari: è un dono e un mistero. Alla comune fragilità umana corrisponde un flusso di grazia e di responsabilità, che supera ogni povertà e si apre ad una dimensione interiore, che è sorgente e base di ogni servizio alla società».

Quali momenti della sua attività pastorale vuole ricordare?

«Li ricordo tutti distintamente, nessuno escluso. Ho maturato esperienze pastorali a Berchidda, Bottidda, Illorai, Ardara, Ittireddu che è la mia attuale parrocchia: ovunque ho cercato di camminare con la gente e tra la gente, di entrare in tutte le famiglie, con particolare attenzione ai piccoli, ai giovani, ai malati. Cinquant’anni di ministero sono stati un caleidoscopio affascinante di esperienze e di iniziative».

Prete e professore.

«In questi decenni mi sono sforzato di operare una sintesi tra impegno pastorale e culturale, tra servizio alla porzione di Chiesa affidatami dai vescovi e la ricerca scientifica, la docenza nella Facoltà di Teologia, la direzione di archivi storici diocesani, la promozione dei beni culturali. Questa sintesi mi è costata sacrificio, ma mi ha anche gratificato. Ho prodotto, comunque, una nutrita serie di pubblicazioni che illustrano la storia della Chiesa sarda nell’Ottocento e nel Novecento».

Prima l’archivio diocesano di Cagliari, ora l’archivio e la biblioteca diocesana di Ozieri. Che cosa le hanno dato queste esperienze?

«I vent’anni di direzione dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari sono stati intensi e propositivi. Grazie ad un’équipe di oltre venti collaboratori l’istituto accoglieva ogni settimana centinaia di studiosi di ogni parte, trovando in esso non solo calda accoglienza ma anche materiale di ricerca inedito. In quegli anni l’Archivio, per il clima che vi regnava e per la promozione di numerose pubblicazioni, si è imposto all’attenzione nazionale».

Quanto sono importanti questi archivi?

«Sono una miniera ancora sconosciuta, che meriterebbe maggiore attenzione da parte delle autorità. Si trova la memoria storica ecclesiale e sociale, locale e regionale: conoscere la storia del passato aiuta a capire le problematiche attuali».

Gli anni di insegnamento nella Pontificia Facoltà Teologica. Quali valori ha cercato di trasmettere agli studenti?

«Nei trentacinque anni di docenza di storia della Chiesa e di Archivistica Ecclesiastica nella Facoltà Teologica della Sardegna ho cercato di promuovere “passione” per la storia della Chiesa universale, con luci e ombre, con spirito critico, alieno da ogni ideologia e, nel contempo, anche per la storia socio-religiosa della nostra Isola. Una sintesi tra visione locale e universale, con una sensibilità verso il dinamismo storico, il “nuovo” che si affacciava, ma con solide radici nel passato. Sono del parere che la disciplina Storia della Chiesa, per i suoi contenuti ideali, sia una delle materie più interessanti del sapere teologico».

Cosa contiene la sua biblioteca di Illorai?

«A Illorai, mio paese natale, custodisco una biblioteca di natura socio-religiosa che, al momento attuale, supera le ventimila unità. È composta di una parte bibliotecaria e di una ricca emeroteca, tra cui primeggia una raccolta sistematica della stampa cattolica sarda degli ultimi cinquant’anni. Questo ricco patrimonio librario verrà donato, post mortem, alla comunità illoraese perché venga messo a disposizione della collettività».

Quali sono le energie che attraversano oggi la Chiesa sarda?

«La comunità ecclesiale isolana risente, purtroppo, di una crisi profonda legata al fenomeno della secolarizzazione: vertiginoso calo della frequenza domenicale, crisi vocazionale con seminari chiusi, rifiuto della tradizionale visione cristiana delle problematiche morali, marginalizzazione del pensiero della gerarchia, carenza tra le file del clero e del laicato di figure carismatiche, totale dimenticanza degli orientamenti del secondo Concilio Plenario Sardo. Superata la visione ecclesiologica tridentina e sedimentato il travaglio del postConcilio, la Comunità ecclesiale regionale ha in sé numerose potenzialità che le permettono di vivere come lievito e fermento, nella consapevolezza di essere “piccolo gregge”».

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