Oltre quarant’anni trascorsi a scuola, prima come docente di matematica e fisica e poi come dirigente. Franco Frongia ieri ha partecipato al suo ultimo collegio docenti all’Istituto professionale “Othoca” di Oristano. Un momento simbolico che chiude un lungo capitolo vissuto tra aule, riunioni, sfide e cambiamenti.
Che emozioni ha provato ieri nel chiudere questo lungo percorso?
«È stato un momento di saluto, sicuramente carico di significato. Ho partecipato a oltre 210 collegi docenti ma quello di ieri ha avuto un peso diverso. La vera sfida, però, sarà a settembre, quando dovrò passare dai ritmi scanditi dalla scuola al tempo libero. In fisica si parlerebbe di una “transizione di fase”: ci vorrà del tempo per metabolizzarla».
Ha iniziato ad insegnare nel 1981: che scuola era e che società c’era fuori da quelle aule?
«Era una scuola diversa, in una società diversa. Non dico che fosse meglio o peggio: era semplicemente un altro mondo. All’epoca la scuola era l’unica vera agenzia formativa, il docente rappresentava un punto di riferimento. Ora è solo una delle tante fonti e strumenti, come l’intelligenza artificiale, che amplificano uno scenario. La sfida, anche per i docenti, è riuscire a convivere con le nuove tecnologie, senza timori né chiusure».
Come sono cambiati i giovani in questi decenni? Cosa hanno perso e cosa hanno guadagnato?
«Hanno perso molto sul piano delle relazioni interpersonali. Trent’anni fa, quando un docente si assentava, l’aula diventava subito viva, rumorosa. Oggi invece ognuno si perde nel proprio smartphone. Ma hanno guadagnato un’enorme capacità di accesso al mondo, in tempo reale».
Secondo lei, i modelli di educazione moderni contribuiscono a formare adulti più consapevoli o più disorientati?
«Purtroppo molti genitori hanno abdicato al loro ruolo educativo. Dire “no” ai propri figli è sempre più difficile. E la scuola, da sola, non può supplire a tutto. Servirebbe una vera alleanza educativa tra scuola e famiglia».
Se potesse scrivere una lettera a sé stesso neoassunto nel 1981, cosa gli suggerirebbe?
«“Metti passione in quello che fai”. Un docente, così come un dirigente, deve essere professionale, certo. Non serve essere un missionario, ma senza passione non si va lontano. I ragazzi ti danno tantissimo se capiscono che sei lì per loro. Ma se sentono che sei a scuola solo per arrivare allo stipendio del 23 del mese, non ti seguiranno mai».
I giovani di ieri volevano cambiare il mondo, quelli di oggi?
«Oggi i ragazzi vogliono realizzarsi ma spesso si affidano a modelli di riferimento proposti dalle piattaforme digitali, che possono essere dannosi. Bisogna aiutarli a capire che certi contenuti sono soluzioni palliative».
Si dice che i giovani di oggi siano più fragili: è d’accordo?
«Sì, hanno meno certezze rispetto a quelle che avevamo noi. E la fragilità spesso nasce proprio da un mondo che offre troppi stimoli, ma poche fondamenta».
La scuola ha preparato davvero gli adulti di oggi a vivere in un mondo così complesso?
«No, credo che non siamo preparati a ciò che il mondo ci sta presentando. Serve una riforma profonda della scuola. Il Ministero deve intervenire: oggi si rischia di perdere di vista il fine ultimo dell’educazione, rincorrendo mode e tendenze».
Guardando gli adulti di oggi – ex studenti – che giudizio darebbe al lavoro fatto dalla scuola?
«Un mediocre “cinque”, se vogliamo dare un voto. La scuola ha fatto il minimo, ma può e deve fare di più».
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