Gioia, spari in aria, fuochi d'artificio, tanta gente in strada a festeggiare. La notizia dell’accordo per la pace, rimbalzata da Sharm el Sheik quando nell’enclave era ormai notte fonda, ha immediatamente acceso la speranza a Gaza. Dall’altra parte, i familiari degli ostaggi in mano ad Hamas, sono sopraffatti dalle emozioni, con le facce stravolte dopo la notte in bianco, parlano, piangono, si abbracciano e stappano champagne.
Speranza e dubbi
Un’esplosione di sollievo a Gaza City dopo tanti mesi di bombe, morte e distruzione. Ma in pochi ci credono fino in fondo. «Ci siamo trovati in situazioni simili molte volte, Israele potrebbe riprendere la guerra dopo aver ottenuto il rilascio di tutti gli ostaggi, non ci fidiamo mai di loro», racconta Abu Baker, 54 anni, sfollato da Gaza City nella zona meridionale per 18 mesi, che ha perso sua figlia e i suoi nipoti nei primi 15 giorni di guerra, quando Israele ha attaccato il quartiere del campo profughi di Jabalia. «È troppo presto per festeggiare la fine della guerra», aggiunge senza alzare lo sguardo e senza nascondere la paura. Non solo di altri attacchi prima che scatti la tanto attesa tregua come - spiega - usa fare Israele ogni volta che si profila un cessate il fuoco: «In questi frangenti uccidono più persone che negli altri giorni».
Il futuro
I timori sono anche, e soprattutto, per il futuro. Per un domani che per lui, come per migliaia di palestinesi nella Striscia, resta una incognita tra i traumi e i lutti da superare e il modo di ricominciare dopo la guerra. «Ho perso la mia casa, i miei beni e il mio lavoro, cosa succederà ora? Continuerò a vivere in una tenda per anni?», si interroga spaventato.
Non prova sensazioni diverse Yousef Al-Shaikh. Fino a un mese fa la sua casa era ancora in piedi ed era molto felice che gli israeliani non l'avessero demolita nella parte occidentale di Gaza City, nonostante l'enorme distruzione nel quartiere. Ma tre settimane fa è stato costretto a sfollare di nuovo e non sa ancora se la sua casa sia ancora in piedi. «Questa è la mia più grande speranza per ora», ha detto.
Finora l'esercito israeliano controlla la strada costiera principale, al Rasheed, che collega il sud con il nord. È l'unica via per tornare a nord, a Gaza City. I rifugiati e gli sfollati nel sud aspettano che le forze israeliane si ritirino da questa strada per poter tornare nei loro quartieri, anche se completamente distrutti. Hanno imparato che non devono muoversi finché l'ultimo soldato israeliano non avrà lasciato la zona, sapendo che, in passato, molte persone sono state uccise perché hanno osato tornare indietro di corsa.
Gli israeliani
Einav Tsangoker, la madre di Matan, che da 734 giorni si scontra con il governo per riavere il suo ragazzo, è arrivata in piena notte a festeggiare in piazza. Grazie a Donald Trump... ho paura disvegliarmi e scoprire che è un sogno», ha scritto su X.
Piazza degli ostaggi a Tel Aviv si è riempita mercoledì notte e poi di nuovo ieri. In quel luogo di dolore e proteste feroci sono confluiti per due anni di seguito gli israeliani spezzati dal 7 ottobre, dalla guerra, dall'incapacità di riprendersi. Ora, i parenti hanno chiesto al sindaco di ribattezzarla: quando i nostri cari saranno di nuovo a casa, chiamiamola Piazza dei Ritornati, hanno detto.
Gli ostaggi ancora a Gaza prigionieri di Hamas sono 48. Ventisei sono stati dichiarati ufficialmente morti, 20 si stima siano vivi anche se per due di loro ci sono forti timori. Sono tutti uomini, tranne il corpo di una giovane donna, Inbar Haiman, rimasto a Gaza. Finora sono arrivati segni di vita da 19 di loro, in video diffusi dai terroristi, da informazioni di ostaggi liberati tra gennaio e febbraio, e altri ancora da fonti di intelligence.
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