«È una straordinaria occasione di riscatto e di riconoscimento. Le domus de janas entrano ufficialmente nel cuore della cultura mondiale. Questo cambia la prospettiva: non siamo più un’isola periferica, ma un centro di civiltà antica che ha ancora tanto da raccontare. È un messaggio di orgoglio, ma anche di speranza per le nuove generazioni», dice l’archeologa Giuseppa Tanda dopo il riconoscimento dell’Unesco per le case della fate: patrimonio dell’umanità. L’annuncio a Parigi, dalla sede dell’organizzazione in place de Fontenoy, non molto distante dall’Hotel national des Invalides e dalla Tour progettata da Gustave Eiffel.
Tanda, classe 1942, originaria di Benetutti, le ha sempre studiate. Sono il filo rosso delle sue ricerche sul campo. Si è occupata di protostoria, ha insegnato per tanti anni all’Università di Cagliari. È lei l’anima di questo progetto, partito dalla Sardegna e arrivato a Parigi con la gloria di un riconoscimento prestigioso. Ci ha sempre creduto e ora manifesta una gioia liberatoria.
Qual è il segreto di questo risultato?
«Il segreto è che si è partiti con le idee ben chiare e con un lavoro di squadra. Questo traguardo è il frutto di un impegno collettivo durato anni: archeologi, istituzioni, enti locali, cittadini. Tutti hanno contribuito. Abbiamo creduto in un progetto ambizioso e ci abbiamo messo competenza, passione e tanta tenacia. Non è stato facile, ma non ci siamo mai arresi».
Che cosa succede ora?
«Ora comincia una nuova fase, forse ancora più importante. L’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. Cambia l’attenzione che questi siti riceveranno: in termini di tutela, di studio, ma anche di fruizione e accessibilità. Le domus de janas diventano patrimonio dell’umanità, e questo comporta una responsabilità ancora maggiore per chi ha il dovere di custodirle e valorizzarle. Il primo passo sarà quello di definire la governance del sito mediante la costituzione di un organismo ad hoc».
Per lei che cosa rappresenta tutto questo?
«È un’emozione difficile da descrivere. Le domus de janas sono state per decenni il cuore della mia ricerca, ma anche una passione profonda. Aver contribuito a farle conoscere e riconoscere nel mondo è un dono, un privilegio. In questo momento penso anche a tante colleghe e colleghi che hanno condiviso con me questo cammino e che meritano di sentirsi parte di questo successo».
Quali siti entrano nell’olimpo Unesco?
«Entrano 17 monumenti sparsi in tutta la Sardegna, che rappresentano diverse fasi della nostra preistoria, tra il Neolitico e l’età del Rame. Sono necropoli ipogeiche con caratteristiche diverse, ma unite da un’identità culturale profonda. Alcuni sono siti noti e visitabili da tempo, altri meno conosciuti ma altrettanto straordinari. Tutti parlano una “lingua antica”, che oggi finalmente viene ascoltata dal mondo».
Quanto è felice in questo momento?
«Molto. È una felicità che nasce dalla consapevolezza di aver restituito qualcosa di grande alla Sardegna e alla sua storia. Ma è anche una felicità matura, che sa bene che adesso comincia una fase impegnativa. E io non vedo l’ora di rimettermi al lavoro».
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