Una filiera lunga, che oggi sembra una via crucis. Il grosso della crisi comincia dopo che la plastica riciclata, una volta divisa per polimeri, viene acquistata dai cosiddetti riciclatori, cui spetta trasformarla in granuli o scaglie. È in questa forma che i produttori la comprano per creare di tutto, dalle componenti per auto ai pezzi di design.
Il sistema andava liscio sino a quando il prezzo della plastica riciclata – succedeva ciclicamente – costava meno di quella vergine, “sfornata” da Shell a ExxonMobil: 80 centesimi contro 1,40 euro. «Adesso i prezzi dei due tipi di plastica si equivalgono, a circa 90 centesimi. La crisi nasce qui. Non corrisponde al vero che noi produttori ci riforniamo dai cinesi – dice Salvatore Romano dalla Nuova Sarmaplastik di Macchiareddu, lato Assemini, dove prendono forma buste realizzate col 100% di plastica riciclata –. Non conosco colleghi che lo facciano e non succede perché il prodotto è mal etichettato». Eppure quella è l’accusa mossa da Assorimap, l’associazione che riunisce i riciclatori. «Quest’anno i nostri utili di esercizio sono proiettati verso lo zero, dopo il crollo da 150 milioni a 7 tra 2021 e 2023 – dice il presidente Walter Regis –. La plastica cinese, vergine o riciclata, passa le nostre dogane con un’unica etichettatura, un danno al made in Italy».
Dal Consorzio Corepla, quartier generale a Milano, non commentano. Dal Cacip di Cagliari, invece, confermano l’investimento da 21 milioni per realizzare un Centro di selezione a Macchiareddu, e sarebbe il primo nel Sud Sardegna. Dalla controllata Tecnocasic, cui spetta la gestione del termovalorizzatore, l’amministratore unico Sandro Anedda dice: «Vero, l’Isola è virtuosa nella raccolta differenziata. Ma il nostro impianto continuerà ad avere un ruolo centrale nel ciclo dei rifiuti: persino sull’umido c’è una frazione non trattabile smaltita da noi». ( al. car. )
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