La cerimonia

«Diamo voce a chi non ne ha» 

Nella basilica di Bonaria la chiusura del Giubileo, messa con Baturi 

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Tornerà dov’è stata costruita: nel carcere di Uta. Dopo aver girato per un anno fra le chiese del Campidano, è stata restituita ai volontari la croce di legno realizzata dai detenuti e affidata un anno fa all’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi: è stato forse il momento più intenso della cerimonia con cui ieri pomeriggio si è chiuso, nella basilica di Nostra Signora di Bonaria, l’anno giubilare della Diocesi di Cagliari.

Nessuna porta da chiudere, nella basilica costruita per onorare la Madonna venuta dal mare: nessuna porta, del resto, era stata aperta un anno fa, quando prese il via l’anno santo straordinario voluto da papa Francesco e che sarà il suo successore, papa Leone, a dichiarare concluso il prossimo 6 gennaio nella basilica di San Pietro a Roma.

Le esperienze

Alle 16, a Bonaria, ha preso il via un momento di preghiera, scandito dai salmi, e di testimonianza: alcuni protagonisti del mondo giovanile e del volontariato cattolico hanno raccontato il loro anno giubilare vissuto come esperienza di conversione. Ora si torna alla vita quotidiana, ma cambiati.

Ad ascoltare, oltre ai fedeli, tante suore e tanti volontari: la parte attiva di quel mondo cattolico che mette in primo piano la vicinanza con malati, emarginati e persone con disabilità. A queste ultime è stata riservata la prima fila: e sono state loro le prime a essere affettuosamente salutate dall’arcivescovo Baturi, che si è poi seduto fra loro per pregare e ascoltare.

Al microfono si sono alternati Francesco Porcu, componente della Pastorale giovanile diocesana, Pino Siddi, diacono permanente e volontario fra i detenuti («Parlo con timore e tremore, dando voce a coloro che non hanno voce»), e infine suor Anna Cogoni e Alessandra Zini, direttrice e volontaria della casa “Sant’Anna”, inaugurata due giorni fa a Cagliari e destinata a ospitare donne senza dimora e con diverse forme di fragilità.

La messa

Più tardi, dall’altare, nella sua omelia, Baturi indicherà proprio la nuova struttura d’accoglienza tra i «segni giubilari diocesani», «segni di una carità che rimane», insieme ai pellegrinaggi e al perdono, esperienza cruciale attraverso la quale si affronta «il dolore di guardare il peccato» anziché limitarsi, come si usa «nel nostro tempo», a subire «i sensi di colpa».

Centrale l’invito a tornare a Gesù, il Bambino e il Risorto: un incontro non con un’idea, ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ma con una persona, “porta” da attraversare per cercare Dio, il solo capace di soddisfare il desiderio infinito che abita nel cuore dell’uomo.

La messa solenne è cominciata alle 17 con l’ingresso in basilica dei sacerdoti di tutta la Diocesi: questa, del resto, era l’unica cerimonia prevista per ieri pomeriggio, e le altre chiese sono rimaste chiuse. Occupati anche i banchi riservati alle autorità. A scandire i momenti della liturgia, le note tonanti dell’organo, di un quartetto di ottoni e un ampio coro. Al momento dell’eucaristia, Baturi ha affiancato gli altri sacerdoti nella distribuzione delle ostie ai fedeli, prete fra i preti. Il denaro raccolto nella questua sarà destinato a iniziative «a sostegno dei detenuti e di donne e giovani madri bisognose di assistenza».

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