Il caso

Aragoste, battaglia per pescarle anche a settembre 

Un dossier in Regione da Alghero: «Diamo una speranza al comparto» 

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Un mese in più per pescare e commercializzare la regina della tavola. Lo chiedono da anni i pescatori di aragoste della Sardegna, in particolare la piccola marineria di Alghero, adeguando quindi la normativa regionale a quella nazionale, almeno in via sperimentale. «Significherebbe dare una chance a chi resiste ancora con coraggio su queste banchine», spiega Giovanni Delrio, portavoce dei pescatori algheresi, che ha già provveduto a inviare un dettagliato dossier all’assessore regionale all’Agricoltura Gian Franco Satta, chiedendogli come mai i pescatori sardi, pur pagando la licenza di pesca esattamente come i colleghi della penisola, lavorano di meno e vengono quindi penalizzati.

Sei mesi di stop

La legge italiana dal 1968 tutela il ciclo vitale del prelibato crostaceo, quotato da queste parti dai 70 ai 90 euro al chilo, vietandone la cattura nei primi mesi dell’anno. In Sardegna, però, una disciplina regionale ha ulteriormente ristretto il calendario, imponendo uno stop di sei mesi: da settembre a febbraio. Ancora pochi giorni di prelievo, dunque, dopodiché le barche dovranno restare agli ormeggi, «proprio nel periodo in cui arrivano i turisti con maggiore capacità di spesa», fa notare Giuseppe Sotgiu, presidente della cooperativa Stella Maris di Bosa. A suo giudizio la marineria sarda è pronta per sottoporsi al test sulla pesca di settembre. «Saremmo disposti a rigettare in acqua tutte le aragoste femmine – anticipa Sotgiu – e ad accettare sanzioni esemplari per chi non dovesse osservare le regole». Se da un lato l’intento del legislatore è quello di garantire la riproduzione della specie, dall’altro la normativa regionale pesa come un macigno sulle piccole imprese artigianali, già provate dal clima sempre più instabile.

Redditi esigui

I registri di bordo delle marinerie raccontano di stagioni ridotte a poche decine di uscite, di reti calate con fatica per recuperare redditi sempre più esigui. «Settembre, mese di mare spesso ancora mite e di turismo vivace, avrebbe potuto dare respiro a molte famiglie di pescatori, invece costrette ad assistere all’arrivo di aragoste da altre regioni o dall’estero», aggiunge Giovanni Delrio. La disparità tra norme nazionali e regionali non ha soltanto ridotto le opportunità dei pescatori sardi, ma ha favorito marinerie esterne, capaci di sfruttare tempi di pesca più lunghi e condizioni più favorevoli. In un settore che vive di stagioni brevi, giornate buone e reti selettive, la perdita di due mesi ogni anno, spiegano, è insostenibile. «Tra regolamenti e perturbazioni è altri guai è raro che la piccola pesca artigianale della Sardegna riesca a operare per più di 50/60 giornate all'anno», sottolinea Delrio. «Qualche chilo di aragosta pescata in più, riesce a mantenere in vita la categoria, senza la pesca all’aragosta non è più conveniente fare il pescatore. In questi ultimi anni ha disarmato il 50 per cento delle imbarcazioni», avvisa il rappresentante della piccola marineria algherese. La sfida è trovare un equilibrio tra tutela ecologica ed equità.

L’assessore al Turismo

Franco Cuccureddu, dalla Regione, sostiene che la Sardegna sia riuscita a tutelare la specie evitando che reti e tramagli vengano calati in mare nel periodo della riproduzione. «Le dimensioni delle aragoste si stanno riducendo in tutto il Mediterraneo e con lo stop alla pesca da settembre la nostra Isola sta investendo sul futuro di questa importante risorsa».

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