intervista

«Anche i bambini in lista d’attesa» 

Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp

Tra i suoi piccoli pazienti, il dottor Osama Al Jamal ne conta centodieci su 1.050. «Centodieci bambini, di cui 34 con diagnosi di autismo, 37 con disturbo da deficit di attenzione e iperattività, altri 41 con disturbi del neuro-sviluppo maggiori: sindrome ossessiva compulsiva, ritardo mentale con ritardo globale dello sviluppo, deficit psichici e fisici, sindrome genetica con deficit mentale, disturbi di coordinazione mentale con quoziente intellettivo basso, e così via».

Sono tantissimi.

«Appunto, facendo i conti esattamente il 10%. Non vale solo per i miei bambini, è la media nella popolazione pediatrica in Sardegna, in Italia e nel mondo. Sono tanti, e va detto che si tratta di patologie con un’incidenza in fortissimo aumento».

Osama Al Jamal, pediatra di famiglia con ambulatorio ad Assemini, è il segretario regionale della Fimp (Federazione italiana medici pediatri), un’esperienza di 31 anni sul campo, un osservatorio privilegiato su due generazioni di piccoli pazienti. «Quando ho cominciato a esercitare la mia professione, era il 1994, vedevo pochi bambini con disturbi del neuro-sviluppo. Fino al 2006 ho avuto una bambina autistica, un bambino con disturbo da deficit di attenzione e iperattività, e una decina con altri disturbi. A partire da quell’anno l’incidenza di autismo, iperattività eccetera è stata sempre crescente».

Da cosa dipende?

«La scienza non dà una spiegazione, ma la maggior parte dei ricercatori fa riferimento per esempio all’inquinamento ambientale e del cibo, agli effetti negativi dell’esposizione precoce agli stimoli digitali».

L’età sempre più elevata dei genitori, della madre, può essere uno dei fattori?

«I fattori ambientali potrebbero avere un ruolo se pensiamo che le particelle di plastica vengono trovate persino nella placenta e nel latte materno. È il contesto ambientale di cui tener conto, perché il materiale genetico dei genitori potrebbe essere inquinato».

A che età viene fatta la prima diagnosi?

«Il sospetto di autismo potrebbe essere posto anche entro il primo anno di vita, mentre le problematiche dell’attenzione e dell’iperattività entro i cinque anni. Questo, però, è un punto dolente, perché accade che le famiglie debbano attendere a lungo prima di avere una diagnosi, condizione necessaria per un percorso di riabilitazione del bambino e per agevolarne il percorso scolastico».

Tanti anche in questo caso?

«Beh, per restare solo alla mia esperienza diretta, le dico che ai miei 110 bambini che una diagnosi l’hanno già, se ne aggiungono almeno altri 50 ancora in attesa di una visita neuropsichiatrica infantile e della presa in carico».

Anche i bambini, pur relativamente pochi rispetto alla popolazione anziana, vengono messi in lista d’attesa?

«Succede perché i servizi di neuropsichiatria infantile ospedalieri, ospedaliero-universitari e territoriali sono intasatissimi, stracarichi di lavoro. È ciò che ci ha spinto a lavorare affinché venga rafforzato il ruolo del pediatri nell’individuazione precoce dei bambini con un sospetto disturbo, in modo da poterli inviare tempestivamente ai servizi di neuropsichiatria. Ne stiamo parlando con l’assessorato alla Sanità e con i colleghi neuropsichiatri. Siamo a buon punto».

A che punto siamo?

«Intanto c’è l’ok dell’assessore Armando Bartolazzi. Siamo in contatto con la Neuropsichiatria di Cagliari e di Sassari per unire le forze in campo e mettere a punto dei Pdta, cioè percorsi di diagnosi e terapia personalizzati per creare una corsia preferenziale per i bambini che necessitano di un inquadramento immediato. Insomma, se c’è un sospetto diagnostico forte, ancor più se di autismo, tutta la procedura dev’essere accelerata. Perché se un bambino autistico riceve quanto prima la diagnosi e viene affidato subito alla riabilitazione, tutte le sue performance migliorano».

A breve firmerete il nuovo accordo integrativo professionale. Vi rientrerà anche questo progetto?

«Sì, diventerà un compito del pediatra di famiglia che, durante le visite e i periodici controlli, compila le schede di valutazione del neuro-sviluppo. Abbiamo una scheda predisposta dall’Istituto superiore di Sanità in collaborazione con le più rappresentative società scientifiche della Neuropsichiatria, che ci aiuta a tenere sotto osservazione il bambino. Non solo per l’autismo ma per tutti i maggiori disturbi del neuro-sviluppo. Ripeto, fare una diagnosi il prima possibile è fondamentale ».

La differenza si vede.

«Ho avuto un’esperienza con due bambini con sospetta diagnosi di autismo. Il primo è stato avviato ai servizi di neuropsichiatria infantile e ha ricevuto subito la conferma della diagnosi, ha intrapreso un percorso che lo ha portato a una evoluzione eccellente per quanto riguarda il linguaggio e la socializzazione. Nell’altro caso purtroppo c’è stata la resistenza dei genitori ad accettare la diagnosi: la presa in carico e il programma abilitativo sono stati avviati con molto ritardo. Il bambino a tutt’oggi ha difficoltà importanti».

C’è qualcosa che la preoccupa maggiormente?

«C’è qualcosa che mi infastidisce non poco, ed è il commercio che purtroppo si crea a causa dei ritardi del servizio pubblico nella diagnosi e nella presa in carico dei piccoli».

Il commercio?

«Un genitore viene in ambulatorio e mi porta l’esito di due visite specialistiche fatte nel privato per disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Ha dovuto spendere 840 euro per la prima e altrettanti per la seconda, perché pare che una sola visita non fosse sufficiente per fare la diagnosi. Ecco, quel bambino poteva essere preso in carico prima di altri, senza dover aspettare due, tre anni. Anni persi».

Succede spesso anche per i disturbi dell’apprendimento. Bene che vada, si finisce per candidare i bambini all’abbandono scolastico.

«Esattamente. L’Italia, dal punto di vista della normativa, è il Paese migliore al mondo. Peccato che la scuola, per attivare un piano didattico personalizzato o l’insegnante di sostegno, abbia necessità di una diagnosi fatta da una struttura pubblica».

L’impressione è che la salute dei bambini non sia una priorità.

«Per molti aspetti oggi stiamo lavorando un poco meglio. Vero però è che in trentuno anni di attività come pediatra non ho mai ricevuto indicazioni da una Asl per avviare un progetto di tutela della salute dell’infanzia. In altre regioni si fa, per esempio il nostro progetto di educazione all’utilizzo dei dispositivi digitali ha ricevuto attenzione in Emilia Romagna, dove hanno investito 80mila euro per la formazione dei pediatri; così in Liguria, Campania, Lombardia. Non qui».

E tanti dei nostri paesi non hanno un pediatra.

«Il punto è che va rivista, e si sta facendo, l’organizzazione del territorio. Il problema vero è che per la salute dei bambini non vengono impegnate le risorse. Dà da pensare, visto che per esempio si investono tanti soldi sugli indennizzi per la dermatite bovina».

RIPRODUZIONE RISERVATA

Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati

Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.

• Accedi agli articoli premium

• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi

Sei già abbonato?