Sarebbe una macchina quasi perfetta, alimentata dalla grande generosità dei sardi, ma procede col freno a mano tirato. Colpa di un meccanismo tristemente inceppato da logiche numeriche e sanitarie decisamente più lente dell’evolversi delle malattie. Così finisce che un terzo degli organi donati finisca fuori regione, spesso anche di più. «Ma non perché qui non servano: semplicemente perché il personale sanitario non è sufficiente per consentire, a chi avrebbe bisogno di un trapianto, di completare le visite propedeutiche all’inserimento nelle liste d’attesa», denuncia Pino Argiolas, storico presidente della Prometeo.
Dall'Aido si alza un altro grido d'allarme: «I noti mali della sanità purtroppo si ripercuotono anche sull'attività trapiantistica», commenta il presidente regionale Roberto Simbula. Quasi un paradosso per l’Isola che continua a brillare per altruismo, e dove in tanti non si fermano al dolore decidendo di trasformarlo in un investimento sulla vita. Quella di chi resta, e si trova a scontrarsi con le storture di un sistema sanitario ancora una volta incapace di dare le risposte giuste e nei tempi dovuti.
Il limbo
È una questione di tempo, di mesi, di anni. Quasi quattro - in media - quelli che devono mettere in conto i 91 sardi che sperano in un rene nuovo. Tre anni e 8 mesi, per la precisione: dato peggiore di ogni altra realtà italiana, esclusa solo l'Umbria, dove aspettano in 23, e che colloca l’Isola nel penultimo gradino delle lista per le attese. Va meglio con il fegato: sono dodici in lista con un'attesa stimata in un anno e tre mesi; altrettanti sperano in un cuore nuovo, che richiede 31 mesi di pazienza. Ma di numeri ce ne sono anche altri, e rimandano a quegli organi finiti oltremare: 44 solo nel 2024 - secondo i dati contenuti nell'ultimo Report del Centro nazionale trapianti - cioè poco meno di un terzo (oltre il 31%) sul totale di 141 prelievi effettuati e soli 75 trapianti eseguiti nell'Isola. Uno in meno rispetto al 2023, ma soglia comunque decisamente lontana dai 99 registrati nel 2007, anno record. Meglio sicuramente rispetto al calo drastico coinciso con la pandemia (59 trapianti nel 2020), ma con l'obiettivo dei cento non ancora raggiunto e i dati del 2025 che non sembrano promettere lo slancio atteso.
I nodi da sciogliere
La falla del sistema sembra all'origine: le donazioni non mancano e neanche i potenziali malati bisognosi di organi, che però continuano a volare oltre i confini regionali. «È assolutamente indispensabile aumentare le visite pre-trapianto dedicando più risorse umane alle visite e migliorando il rapporto degli specialisti che operano nel territorio con quelli dei centri trapianti. Con una rete capillare che lavori su tutta la regione», osserva Argiolas.
«Se in Sardegna avessimo avuto un sistema trapiantologico perfettamente funzionante, forse solo qualche decina di organi avrebbe varcato il Tirreno per supportare le urgenze nazionali ma i restanti sarebbero stati trapiantati in loco dando le risposte ai tanti pazienti sardi in attesa», spiega ancora il presidente. «Il grande lavoro del Centro regionale trapianti e delle Rianimazioni da solo non basta: occorre intercettare i futuri riceventi, lavorando soprattutto nelle aree periferiche, dove purtroppo c'è chi non fa in tempo a completare la fase preliminare».
Organici ridotti
Interviene anche Simbula, che, in Sardegna, guida l'Associazione Italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule: «I sardi continuano a mostrare una grande sensibilità e tanto altruismo. Ed è bene precisare che nessun organo viene sprecato, perché quelli che “cediamo” arrivano in altre realtà e salvano altrettante vite», premette. «Ma se le liste d'attesa fossero più lunghe ci sarebbero certamente molti più pazienti sardi trapiantabili. Il problema è la carenza di personale, che si riflette anche nel follow-up. Mancano medici, infermieri, rianimatori e tante figure chiave per fa funzionare bene tutta la sanità. Attività trapiantologica inclusa».
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