Non è stato un incontro, ma un ritorno. All’aeroporto di Santiago del Cile, tra il via vai dei passeggeri e le luci fredde dei neon, tre donne si sono strette in un abbraccio che aveva atteso 46 anni. Da una parte Adelia e Maria Beatrice Mereu, gemelle nate nel 1979 a Santiago e adottate in Sardegna quando avevano appena nove mesi. Dall’altra, la loro madre biologica, Maria Verónica Soto Toro, che all’epoca aveva 17 anni e che per quasi cinquant’anni non ha mai smesso di cercarle. L’ultima volta che si erano toccate era il 1979, in una clinica della capitale cilena, quando le neonate con l’inganno le sono state portate via. Quarantasei anni dopo, la storia si è ricomposta.
I genitori adottivi
Il destino ha portato Adelia e Maria Beatrice a Escalaplano, nel centro della Sardegna, dove due maestri della scuola elementare, Maria Antonietta Chessa e Luciano Mereu, le avevano adottate insieme a un altro neonato cileno, Sebastian. «Abbiamo saputo fin da piccolissime di essere state adottate», racconta oggi Adelia. «I nostri genitori non ce l’hanno mai nascosto, prima di entrare alla scuola materna ci hanno detto la verità sulle nostre origini. Ci hanno raccontato che la nostra mamma naturale non poteva tenerci perché era povera». L’infanzia in Sardegna è stata fatta di radici nuove, ma anche di interrogativi mai sopiti. «Nella nostra cameretta ci dicevamo sempre: chissà com’è la nostra madre, se è viva, se abbiamo fratelli o sorelle, com’è la nostra terra dall’altra parte del mondo: sarà così povera come dicono? O Sarà bellissima? Ritrovare la nostra “vera” mamma è sempre stato il nostro sogno, ma non sapevamo da cosa e come iniziare. Non c'era nessuno che ci aiutava».
Una nuova vita
A Escalaplano hanno trovato zii che sono stati come nonni e una comunità che non le ha mai fatte sentire straniere. «Ci hanno sempre amate», ripete Adelia. Ma la loro serenità si sarebbe incrinata quando il padre adottivo, Luciano, è morto. «Finché c’era lui, era tutto bello. Dopo, la nostra mamma adottiva ha accusato l’assenza e così, a sedici anni, io e mia sorella abbiamo deciso di andare via». Per tanti anni sono rimaste insieme nell’Isola, poi le loro strade si sono divise: Adelia a 21 anni, si è trasferita in Brianza, a Lesmo, insieme al marito di Riola Sardo ed è diventata madre di quattro figli. Maria Beatrice per un periodo è rimasta in Sardegna e poi si è spostata nel Lazio. Ma il pensiero della madre biologica non le ha mai abbandonate.
Il test del Dna
Il destino ha bussato in una giornata qualsiasi, attraverso la curiosità di Alessandro, il secondo figlio di Adelia. «Un giorno a me e a mio marito ha detto: ho fatto un test del Dna su MyHeritage, voglio conoscere le mie discendenze. Io e mio marito siamo rimasti stupiti, anzi lui si è anche allarmato, ma lo abbiamo lasciato fare. È sempre stato molto curioso», ricorda la madre. Dopo un mese è arrivato il risultato: 46% sardo, una parte cilena, tracce francesi e marocchine. E soprattutto un nome: Maria Verónica Soto Toro, indicata come parente al 35%. «Risultava che anche questa donna avesse fatto lo stesso test poco tempo prima. Ho avuto subito una bella sensazione, ma anche tanta paura. Siamo andati subito a cercarla su Facebook. Quando l’ho vista, è stato come guardarmi allo specchio. Ho iniziato a piangere. Ma non avevo il coraggio di scriverle, temevo fosse un’illusione». Alla fine però Adelia, spinta dal marito e dai figli, ha trovato la forza di mandare quel messaggio. «Le ho detto che mi chiamavo Adelia, che da piccola mi chiamavo Valesca, che ero nata il 26 aprile 1979 a Santiago, adottata da genitori italiani, e che avevo una sorella gemella. Lei mi ha risposto subito: “Sono tua madre. Non ci posso credere”». Era il 14 marzo. Pochi minuti dopo, la videochiamata: uno schermo che si accende, occhi negli occhi, riconoscimento immediato. «È stato come se mi avesse riconosciuta subito dal viso. All’inizio non riuscivamo a parlare, abbiamo pianto tantissimo come bambine».
L’abbraccio
Dalla scorsa primavera e fino a qualche giorno fa le videochiamate sono diventate quotidiane, piene di emozioni e racconti. Poi la decisione di partire: Adelia e Maria Beatrice hanno preso l’aereo per Santiago del Cile, con l’aiuto del sindaco del paese di Maria Verónica e di un’associazione che ha regalato loro i biglietti. Mercoledì sera, l’abbraccio all’aeroporto di Santiago. Ad attenderle però non c’era solo la madre, ma un’intera famiglia: fratelli di sangue, due fratellastri più piccoli, cugini, nipotine e tanti amici di famiglia. «È stata la nostra prima volta in Cile, pensavamo di ricevere affetto, ma quello che abbiamo trovato è stato il doppio, il triplo. Non ce l’aspettavamo, tutti conoscevano la nostra storia e tutti facevano il tifo per questo ricongiungimento, sapevano che nostra madre ci ha sempre cercate», dice Adelia.
La dittatura
La loro vicenda non è un caso isolato. Negli anni della dittatura di Pinochet, centinaia di bambini sono stati sottratti alle famiglie con il pretesto della povertà e dati in adozione all’estero in maniera irregolare. Oggi sono conosciuti come i “figli del silenzio”. Molti di loro sono finiti in Italia. Maria Verónica, però, non si è mai arresa. Ha sempre saputo che le sue figlie erano vive e, con ostinazione, ha continuato a cercarle. «Era sicura che fossimo in Italia, perché in quel periodo tanti bambini venivano venduti lì, ma venirci a riprendere era difficile, impossibile», racconta Adelia.
Un futuro in Italia
Lo sguardo è ancora rivolto al futuro. «Vorremmo che mamma venisse in Italia, magari già a Natale». Adelia, intanto, non ha dimenticato dove è cresciuta e torna a Escalaplano ogni volta che può per salutare i parenti e i tanti amici rimasti. Ma quando racconta dell’incontro con la madre, gli occhi le si illuminano: «Un’emozione unica, un dono che davvero io mia sorella non pensavamo di vivere».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati
Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.
• Accedi agli articoli premium
• Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi