Che una persona si identifichi con il ruolo che è forzata a vivere – genitore, figlio, padrone, operaio, geometra, intellettuale, scaltro, ecc. – non è solo una teoria del maestro armeno Gurdjieff, ma un riscontro ormai accettato dalle più attente scuole di pensiero e utilizzato dalle più aggressive attività di marketing.

Per ogni ruolo esistono non solo comportamenti sociali ben definiti, ma anche abbigliamenti, modi di pensare e addirittura di esprimersi, cui ciascuno si adegua inconsapevolmente. Da questo assunto – a cui faremmo bene a credere, ma tant’è – deriva innanzitutto un giudizio di merito sulla nostra autenticità, messa in dubbio dall’imitazione cui siamo sempre più portati, dagli stereotipi cui ci riferiamo e che ci misurano, mentre la lunga serie di lampadine rosse di allarme, accese sui pericoli e le conseguenze della manipolazione, non richiama purtroppo più attenzione, non essendo la conoscenza, la formazione, l’analisi critica e la consapevolezza caratteristiche funzionali di nessun ruolo corrente. L’inquinamento della nostra mente è così pervasivo che a stento ci accorgiamo di vivere imitando modelli precostituiti. Consideriamo ad esempio i nostri politici, gli ausiliari della sosta cui abbiamo delegato il presente e il futuro della Sardegna. Non sono nati politici, non hanno fatto scuole di formazione alla politica, non sono stati filtrati né dalle Frattocchie né dai Gesuiti. 

Sono stati semplicemente sbalzati in un mestiere remunerativo e in un ruolo socialmente ben identificato. La provenienza è poco importante: un medico si distinguerà molto poco da un commerciante o da uno sfaticato di mestiere quando si dovrà parlare di ambiente e sostenibilità, partecipazione e inclusione, riqualificazione urbana, trasparenza, collaborazione tra istituzioni, imprese e cittadini, ecc. Massimi sistemi, filosofie e ideologie all’interno di un sistema che peraltro permette gradi di libertà operativa molto ridotti, limitati dalla marginalizzazione cui siamo costretti, e utilizzabili solo da persone estremamente competenti e fattive – un pugno in tutto il panorama. Chiediamoci cosa possa fare, in pratica, un assessore all’Istruzione in un paese di mille e trecento persone, ad esempio. Con tutta la sua buona volontà, si adeguerà al ruolo conquistato, copierà comportamenti ed espressioni, imiterà modelli ritenuti probanti, farà tattica politica di quartiere, diventerà esso stesso uno stereotipo: l’assessore. Come il protettore civile, il barracello, il forestale, ecc.

All’interno di un Occidente che cerca disperatamente di riguadagnare un ruolo e un’immagine, l’Europa tutta è ormai marginale – chi non se n’è accorto? L’Italia è marginale. Per la Sardegna bisognerebbe coniare un altro aggettivo più forte; per l’interno spopolato dell’isola occorrerebbe un ulteriore sforzo di fantasia per dire la verità senza offendere nessuno, colpevoli e innocenti. Quale assessore risolverà mai i problemi dello spopolamento, della dispersione scolastica, della carente e mal indirizzata formazione, della logistica classista, delle infrastrutture fatiscenti? Quale visione – non sogno – può animarlo, se non è mai stato preparato al compito, non ha studiato per il ruolo come d’obbligo in altri paesi, non ha fatto l’indispensabile gavetta?

E purtroppo neanche Nietzsche ci viene in aiuto. Maledetto il suo “amor fati”, l’amore per il proprio destino, che lega ancor di più noi sardi ai nostri stereotipi. “Questo è ciò di cui hai bisogno” ci fa dire guardando i doni che Dio – non certo il nostro merito – ci ha dato e beandoci della nostra presunta balentia, del nostro folclore novecentesco, delle nostre eccellenze – una ad ogni pagina di giornale –, mentre intanto scivoliamo agli ultimi posti delle povere classifiche europee. “Non ci può succedere nulla che non abbia un lato positivo,” ci dice il filosofo, e per cui stiamo fermi, sezzindomo, ignari di interpretare quotidianamente il ruolo dei sardi, ancor oggi colonizzati, usati, spolpati, eppure ferocemente l’un contro l’altro armati, impietosi, nostalgici (di che cosa, di quale passato?).

Ho riletto una delibera del Comune di Nuoro del 1978 sul mulino Gallisai – ce ne sono del 1960 sul nuraghe di Tanca Manna – e ritrovo oggi, nel 2025, che esso diventerà “polo di cultura, ricerca e innovazione”. Occorre identificarsi col sardo risultante, luminosamente ricreato dall’Einstein Telescope, l’attuale nostro santo protettore, e credere ai miracoli: il mulino camminerà, vedrete, come il nuraghe. Siamo nelle giuste mani.

Ciriaco Offeddu

Manager e scrittore

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