5 maggio 2000: muore a 86 anni una leggenda.

Gino Bartali, indiscusso protagonista della storia del ciclismo.

Semplicemente grande. Come atleta. E come uomo.

Come atleta per i traguardi raggiunti (tre Giri d’Italia, due Tour de France, quattro Milano-Sanremo), le mitiche fughe, le epiche scalate, la rivalità con Fausto Coppi, amico-nemico.

Come uomo per la genuina schiettezza che lo ha sempre contraddistinto, da buon “toscanaccio” nato a Ponte a Ema (1914) tra Firenze e Bagno a Ripoli. Ma, anche e soprattutto, per l’impegno antifascista, che lo vide in prima linea tra il 1943 e il 1944 nel salvare vite umane.

Quelle degli ebrei – almeno 800 - destinati alle deportazioni.

In sella all’inseparabile bici, Bartali fece per mesi la spola tra Cortona e Assisi, portando con sé, nascosti nel telaio, documenti e foto destinati a realizzare i passaporti per i perseguitati in procinto fuggire.

Un impegno che gli è valso la medaglia d’oro al valore civile dal presidente della Repubblica e il titolo di Giusto tra le nazioni dalla Corte suprema dello Stato di Israele.

Riconoscimenti entrambi postumi.

Ma, fossero anche arrivati quando era in vita, a lui probabilmente non sarebbe cambiato molto. Perché - ebbe a dire un giorno - "il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca".

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