L’unico modo è raccontarlo come se fosse successo a un’altra. Altrimenti, le parole si soffocano in gola. Così Annet parla, ma dalla mente scaccia le immagini di quella tragedia: «Era il 2015, entrarono a casa all’improvviso, uccisero mio padre quasi subito.

Avevo 15 anni e da noi in Sud Sudan la guerra civile spargeva tanto sangue. Erano in abiti civili e armati, nemmeno capimmo a quale fazione appartenessero. Volevano le cinquanta mucche con cui si sostentava la nostra famiglia di dieci persone. Mio padre rifiutò, significava cadere in miseria, e gli spararono davanti a noi: l’ho visto morire per terra. Poi chiesero alla nostra sorella maggiore se preferiva che i guerriglieri uccidessero mamma e tutti gli otto figli o andare in camera da letto con il capo. Non ci pensò nemmeno: si sacrificò per tutti. I guerriglieri se ne andarono con le nostre mucche, lasciandoci solo dolore e miseria. E papà morto per terra. E mia sorella umiliata».

Juan Annet Poni Micheal è una ragazza timida, dolce e garbata. Ora ha 26 anni e racconta quell’orrore con un filo di voce: «Dopo il raid fuggimmo in Uganda, in un campo per rifugiati».

L’intervista completa di Luigi Almiento su L’Unione Sarda oggi in edicola e sull'App L’Unione Digital 

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