“Conosco una bambina difficile. È facile essere una bambina difficile. Se non hai paura di cadere quando vai fortissimo in bici, se preferisci arrampicarti sugli alberi invece che giocare alle principesse, se ti dicono di non giocare a calcio coi maschi e tu non capisci bene il perché, se hai l’impressione che quando ti chiedono di fare la brava intendano solo farti stare zitta, insomma ogni volta che non sei ciò che si aspettano da te, allora ecco […] Una cosa che devi sapere, però, è che l’essere difficili non dipende davvero da come sei, ma solo da come ti vedono. Succede quando gli occhi degli altri pretendono di vestirti del colore che vogliono loro!”.

Viola potrebbe essere definita una bambina difficile. Ha otto anni, ama il colore blu e preferisce il pallone da calcio alle bambole. Le persone intorno le dicono che dovrebbe amare il rosa, perché quello è il colore delle femmine, per questo quando va a scuola, i compagni la prendono in giro, quando usa lo zaino azzurro o il cappotto celeste.

Viola non comprende perché ci siano delle cose da maschi e delle cose da femmine. Decide perciò di esporre i suoi dubbi al padre, che fa il pittore: “Ma  perché  il  Rosa  dev’essere  per  forza  il  colore  delle  femmine  e  il  Blu dev’essere quello dei maschi?» […] «Chi lo ha deciso?» aggiunge Viola. «E perché non ci hanno chiesto prima cosa preferivamo?»”.

Il padre le mostra come nei più famosi dipinti le donne fossero raffigurate con i mantelli celesti, mentre il mantello di Dio era spesso dipinto di rosa. Le spiega inoltre come, nel corso della storia, le donne abbiano dovuto subire dei ruoli imposti dalla società, mentre gli uomini basavano il loro potere sulla forza fisica.

“Viola, hai mai sentito la parola stereotipo? […] È  una  parola  che  viene  dalla  tipografia,  significa  ‘immagine  rigida’.  Riferita  alle  persone,  è  come  se  ci  fosse qualcuno che decide che c’è un recinto, una scatola dalla quale non puoi mai uscire […] Ce  la  costruiscono  attorno  gli  altri,  a  volte  invece  lo  facciamo  noi  stessi.  Il  fatto  è  che  sono  gabbie  che  non  si vedono, per questo non ci rendiamo conto di esserne prigionieri”.

Viola domanda al padre se ci sono pregiudizi anche per i bambini, perché lei non comprende il motivo per cui le proibiscano di giocare a calcio con gli altri maschi o perché al suo amico, Marco, la madre impedisca di comprare le figurine di “Dora l’esploratrice”, perché sono “roba da femminucce: «Papà, ma allora a cosa serve essere maschi o essere femmine?».

«Serve ad avere un punto di partenza […] Perché essere femmine o essere maschi ha a che fare con ciò che la vita ha scelto per noi, invece diventare donne e diventare uomini ha a che fare con quello che noi, ogni giorno, scegliamo per le nostre vite, dipingendoci con tutti i colori che ci servono».

“Viola e il Blu” è un libro di Matteo Bussola, edito da Salani Editore.

È un testo che valorizza l’importanza di parlare degli stereotipi di genere, per rendere i bambini, ma anche gli adulti, consapevoli della presenza degli schemi culturali, relativi alla rappresentazione del maschile e del femminile; gli stessi che divengono poi delle gabbie o delle scatole, che, come ben descrive l'autore, influenzano le relazioni sociali e il rapporto tra uomo-donna. Prendere consapevolezza degli stereotipi di genere è un modo per prevenire fenomeni come la violenza, la disuguaglianza e l’asimmetria nelle relazioni di coppia, al fine di divulgare la cultura del rispetto reciproco e la libertà di essere; perché come ricordano le pagine di questo libro: “Tutti noi conteniamo un po’ di Rosa e un po’ di Blu, un po’ di maschile e un po’ di femminile. Per questo le bambine e i bambini possono portare in sé lo spirito guerriero e lo spirito poetico, la decisione e la delicatezza, il coraggio e la pazienza e la forza e la dolcezza e tutto quello che riusciranno a contenere, senza che qualcuno decida al posto loro cosa va bene e cosa no”.

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