Quarant’anni fa l’attentato alla Sinagoga di Roma. La comunità ebraica: “Non si è fatto abbastanza”
Un commando di almeno cinque uomini scatenò l'inferno contro i fedeli fuori dal Tempio Maggiore, con lancio di bombe a mano e raffiche di mitra: il bilancio fu di 37 feriti e un bimbo di appena due anni ucciso"Sull'attentato alla Sinagoga di Roma dell'82 non si è fatto abbastanza". È l’accusa, a 40 anni da una delle azioni terroristiche più gravi mai avvenuta nella Capitale italiana, del presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, per la quale quell'attacco palestinese, costato la vita ad un bimbo di appena due anni, Stefano Gaj Taché, "fu contro il diritto di Israele ad esistere".
Le fa eco anche il Rabbino Capo della Capitale, Riccardo Di Segni, per il quale l'attentato "arrivò al culmine di una campagna di diffamazione e ostilità che si era aperta già da mesi e per cui la Comunità ebraica si sentì tradita dalle istituzioni perché non ci fu compassione: quella ferita non si è ancora rimarginata, perché manca ancora la verità".
NUOVE INDAGINI – Una verità che da mesi, non senza difficoltà, sta cercando anche la Procura di Roma che nel 2020 ha aperto un nuovo fascicolo di indagine, al momento contro ignoti, in cui si ipotizza il reato di strage. Un’iniziativa legata anche al dissequestro di alcuni atti della vecchia indagine. Il riserbo sull'attività istruttoria è massimo ma nuova spinta alle indagini è arrivata da un corposo dossier messo a disposizione degli inquirenti proprio dalla Comunità ebraica, costituitasi parte civile.
Obiettivo di chi indaga è accertare se l'azione al Ghetto sia stata messa in atto dalla stessa mano che due mesi prima, nell'agosto dell'82, al ristorante ebraico Jo Goldenberg, a Parigi, uccise sei persone. Punto di contatto tra le due vicende sarebbe il palestinese Abu Zayed, al centro di un incontro tra investigatori dei due Paesi avvenuto prima dell'estate a Roma. Sette anni fa le autorità transalpine hanno spiccato un mandato di cattura internazionale per i tre presunti attentatori e nel 2020 la Francia ha ottenuto dalla Norvegia l'estradizione di Zayed, che ancora viveva in Europa. Secondo un pentito, le cui dichiarazioni sono ora al vaglio dei magistrati capitolini, Zayed si trovava a Roma nell'estate dell'82. Ma c'è di più: in base ad una analisi comparativa anche sulle due azioni terroristiche emergono molte analogie e ciò fa supporre che il gruppo di fuoco sia lo stesso e le armi utilizzate siano le stesse. In entrambi gli attentati, come confermato anche da analisi balistiche, sono state prima lanciate delle granate, e poi sparati dei colpi con armi automatiche.
"IL SILENZIO CHE URLA” – Su quanto avvenuto il fratello di Stefano Taché, Gaidel, ha scritto un libro, "Il silenzio che urla", in cui ricostruisce anche l'iter giudiziario. "Per anni questa tragedia ha riguardato solo gli ebrei, come se non fossero cittadini italiani". E parlando dell'indagine aperta a piazzale Clodio, Taché ha aggiunto di non essere stato ascoltato dagli inquirenti. "Al momento non sappiamo come sono andate le cose, abbiamo troppe domande senza risposta ma ho fiducia che si arrivi alla verità".
BLITZ DI MORTE – Era il 9 ottobre 1982: una giornata di festa, il giorno di Shabbat, che si trasformò in pochi istanti in una tragedia. Alle 11.55 si scatenò l'inferno contro i fedeli che stavano uscendo dal Tempio Maggiore con lancio di bombe a mano e raffiche di mitra ad altezza uomo. Un blitz di morte che lasciò a terra 37 persone ferite e strappò la vita ad un bimbo di appena due anni.
L'attentato venne attribuito al Consiglio rivoluzionario di Al Fatah guidato da Abu Nidal, già autore in quei mesi terribili di numerosi attentati contro obiettivi ebraici in Italia e in Europa. Mandanti ed esecutori non sono mai stati individuati con certezza. L'unico condannato, in contumacia, fu il cittadino giordano Osama Abdel Al Zomar, a cui fu inflitto l'ergastolo. La sentenza non fu mai eseguita in quanto l'Italia non ottenne la sua estradizione.
(Unioneonline/v.l.)