Blocchi squadrati impiegati per edificare i monumenti storici della città di Porto Torres. Un tesoro conservato nella Cava di Ferrainaggiu all’interno di terreni privati nel confine sud del Comune turritano con quello di Sassari. All’interno delle gallerie o grotte forse in parte di origine naturale, sono visibili le tracce degli strumenti utilizzati dai cavatori con i segni dei conci estratti durante la fase di coltivazione.

Il nome Ferrainaggiu deriva, probabilmente, dalla farraina o dal foraggio, tipico alimento per il bestiame, coltivato in quelle zone particolarmente fertili per la presenza di corsi d’acqua. “È probabile che quella cava sia stata coltivata anche in età romana – spiega Franco Satta, presidente del consiglio ed ex tecnico della Soprintendenza – un sospetto derivante dal ritrovamento nelle vicinanze di una strada romana, mentre nei pressi del Rio d’Ottava si trova un’area di necropoli, la stessa Ponte Pizzinnu è di quell’epoca e più avanti ancora è stata rinvenuta una piccola edicola con resti di marmi con elementi decorati da costruzione risalenti allo stesso periodo”. Ipotesi ancora da accertare da parte degli studiosi e archeologi che non escludono che in epoca romana si utilizzasse il fiume Rio Mannu per trasportare sulle zattere i blocchi di cava  a Turris Libissonis, l’attuale Porto Torres. È certo però che un confronto petrografico, qualche anno fa, ha consentito di dimostrare l’impiego dei blocchi della cava per la costruzione della maestosa basilica di San Gavino. “Quella zona delimitata a nord da una strada di campagna che porta verso il fiume, a sud con il Rio d’Ottava, a est con il Rio Mannu e ad ovest con la strada sterrata di Ponte Pizzinnu, è tra le aree più interessanti del territorio di Porto Torres, - aggiunge Franco Satta - in quanto densamente abitata fin dal periodo neolitico, quindi anche nel periodo nuragico e in età romana è stata utilizzata probabilmente come area di campo”. 

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