Kirk Douglas, ricordato ed esaltato dalla stampa mondiale
I critici cinematografici più famosi inondano coi personali giudizi gli organi di informazioneCara Olivia de Havilland, adesso sei rimasta veramente solo tu a rappresentare i grandi Divi ultracentenari che nasceste agli inizi del primo conflitto mondiale.
Sì, proprio tu, la malinconica Melania, paradossalmente l'unica, fra i quattro grandi protagonisti del leggendario film di Victor Fleming "Via col vento", non certo da annoverare ai vertici della Storia del Cinema, che muori durante le vicende vaporose di quella interminabile e storica telenovela.
Il tuo coetaneo Kirk Douglas è sceso dal treno dopo un lunghissimo viaggio e ti consegna un ideale testimone. Sei una donna eccezionale, anche molte tue pellicole hanno esaltato la Settima Arte: il bastone di comando anagrafico è in buone mani, speriamo per lungo tempo.
Tutti gli organi di informazione mondiali ricordano ed esaltano Kirk Douglas. I critici cinematografici più famosi inondano coi personali giudizi le pagine della stampa e dei telegiornali.
Cosa rimane a noi appassionati del Cinema fin dall'adolescenza, privi per rigoroso principio di qualsivoglia enciclopedia specifica della materia dalla quale attingere notizie, refrattari ad essere condizionati "da quanto scrivano gli altri"? Una sola e determinante arma: aver visto, e quindi conoscere, tutta la filmografia di Kirk Douglas ed esporre propri pensieri, indipendentemente siano collimanti o meno con le valutazioni esternate dalla generalità.
Noi cagliaritani della mia generazione abbiamo conosciuto, da squattrinati studentelli, il Kirk Douglas più leggero, scanzonato, simpatico e accattivante, frequentando l'ultimo spettacolo delle mitiche sale "4Fontane" di Via Alagon, "Corallo" ed "Eden": prezzi popolari, applausi a scena aperta da parte del pubblico per le gesta dell'eroe, finale con la scontata positività. Fra altri, ricordiamo "Il cacciatore di indiani", "20.000 leghe sotto i mari", "Ulisse", "L'uomo senza paura".
Ma l'autentico Kirk Douglas non è stato certo quello adesso descritto.
La sua vita antecedente la fama è sinonimo di difficoltà interiore, quasi una lotta per la sopravvivenza, non soccombere di fronte alle avversità, assumere atteggiamenti non propriamente in linea con quelle che normalmente chiamiamo "le buone maniere".
Questo suo peregrinare, alla ricerca di una "giustizia" che talvolta sconfinava in una vera e propria superbia, unita alla violenza verbale e comportamentale verso il prossimo fino ad assumere comportamenti disgustosi, li ha stupendamente, nel bene e nel male, trasferiti nelle indimenticabili pellicole da lui interpretate.
Suo padre per sbarcare il lunario raccoglieva masserizie nella strada, cercava di renderle decenti e le trasferiva nei quartieri malfamati.
Douglas, lo ammise, fu salvato dal nugolo di sorelle da cui era attorniato e da una di quelle madri che definiremmo "sante". Le donne: sempre là si torna.
Una personale scelta, non semplice e non scontata, dei titoli più significativi del grande attore. Un Douglas trasformato, fin dal suo esordio.
"Lo strano amore di Marta Ivers". La sua ambiguità emerge sovrana. Vale il detto "per raggiungere uno scopo prefissato, posso perdere la dignità". Tanto simile, per quelli di noi amanti della Storia, a "Parigi val bene una messa".
"L'asso nella manica". Mai il regista Billy Wilder sceneggiò e diresse un film così spregevole, da essere considerato un capolavoro assoluto della miseria umana insita nell'individuo, che specula per proprio tornaconto sulla vita di una incolpevole vittima, ben conscio del tragico dramma finale. Ecco il Cinema disgustoso, quello che si cerca di evitare, di rinunciare a vedere ed eliminare dalla lista. Errore clamoroso: la Settima Arte è collimante con le vicende dell'esistenza, che sappiamo bene essere spesso "ingiusta". Douglas offrì una memorabile interpretazione: cinismo misto ad indifferenza. Il suo crollo nel pavimento dell'ultima sequenza è passato agli annali.
"Le catene della colpa". Pellicola purtroppo rara, credo poco conosciuta, ed ennesima riproposta di una domanda che non avrà mai una risposta precisa: esiste un destino che accompagna l'individuo? La bellezza del film consiste nei dialoghi sparuti. Più che le parole, contano le espressioni degli interpreti, gli sguardi, gli intendimenti, l'inevitabilità della tragedia. Qui Douglas non agisce da solo, se vogliamo dirige dietro le quinte la sua malvagità, ed è proprio il silenzio che aleggia sinistro ad esaltare la propria presenza nel teatro delle operazioni.
"Il grande cielo". Rilevante interpretazione di Douglas dovuta al fatto sia una sorta di western fuori dall'ordinario, privo delle connotazioni tipiche di questo genere, che solo un regista come Howard Hawks poteva assemblare senza alcuna sbavatura. Un Douglas all'aria aperta, potremmo definirlo, che unisce lo spirito pionieristico alla responsabilità di un impegno imprescindibile da mantenere.
"Il bruto e la bella". Cast d'eccezione, come il regista Vincente Minnelli era solito radunare. Ogni personaggio, analizzato fino allo spasimo, rimane nella memoria visiva. Rieccolo il Douglas spietato, non come quello de "L'asso nella manica", per fortuna. Irriverente, padrone assoluto della scena, dirompente nella fredda determinazione di usare ogni mezzo umano spregevole pur di raggiungere lo scopo prefissato.
Insomma: "Il fine giustifica i mezzi". Ma queste sue qualità negative finiscono per mettere in imbarazzo proprio le vittime: alla fine lui, arrogante e mistificatore, risulta indispensabile, e saranno le persone offese a cercarlo nuovamente per ricucire un rapporto in apparenza spezzato. Straordinaria interpretazione.
"Spartacus". Douglas cambia tutto: oltre che interprete protagonista, diventa produttore perché sa che a dirigere è Stanley Kubrick, alla presenza di un cast stellare. E' forse il film più conosciuto dagli italiani, non certo il più bello, perché Kubrick fu costretto, e fece miracoli, a sostituire un collega precedentemente nominato con una partitura determinata, ed anche perché la censura non permetteva fossero affrontate divagazioni che offendessero la cosiddetta morale del tempo.
Il duo Kubrick-Douglas, con tali imposizioni, funziona comunque a meraviglia.
"Orizzonti di gloria". Lo considero il capolavoro della coppia formata dal regista Stanley Kubrick, allora appena 28enne, e Kirk Douglas.
Entrambi ebbero meriti a dir poco portentosi. Douglas impose il proprio carisma per costringere la società americana, in pieno oscuro periodo maccartista, ad accettare la pellicola in odore di emarginazione. Era la caccia alle streghe, uno dei periodi più bui del cinema americano. Il film fu girato in Europa, ma non nella sede francese, per l'ostracismo dei transalpini. Kubrick, come d'altronde in tutti i suoi film, è straordinariamente millimetrico come una tagliola nel descrivere le brutture degli altissimi gradi militari nel primo conflitto mondiale.
Douglas interpreta la perfetta equidistanza fra le prerogative umane degli umili soldati ed i doveri dell'obbedienza ai superiori, che diventerà leggenda cinematografica. Inviterei, in particolare, a seguire con ammirazione, devozione, e magari rivedere, l'ultimo quarto d'ora:
Settima Arte assoluta, ai massimi livelli.
Mario Sconamila